“Siamo davanti a una totale e sostanziale carenza di vere relazioni sindacali”. Non usano mezzi termini i sindacati (Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca Uil e Unisin) dell’Istituto centrale delle banche popolari italiane (Icbpi), dichiarando oggi (venerdì 10 novembre) lo sciopero generale di otto ore dei 1.700 dipendenti, che coinvolge la capogruppo e le controllate CartaSi, Oasi e Help Line. Dal giugno 2015 la maggioranza dell’Istituto è proprietà dei fondi Advent, Bain e Clessidra, mentre alla presidenza siede l'ex numero uno di Telecom Franco Bernabè.

 “E’ ormai troppo tempo che quest’azienda sta tenendo un comportamento di sufficienza nei confronti dei lavoratori. Un atteggiamento che si è trasformato in una sorta di costante penalizzazione per chi lavora e ogni giorno fa il proprio dovere” spiega la Fisac Cgil: “A fronte di tante parole, la realtà lavorativa oggi è fatta di disagi e difficoltà, con un clima vessatorio che si riflette in maniera negativa sulla produttività e sui rapporti interni”.

I motivi alla base dello sciopero vanno “dalle confermate intenzioni di cedere rami d’azienda – spiega Massimo Pizzi, delegato nazionale Fisac – che compromettono l’integrità del gruppo come banca di sistema, al mancato rispetto degli impegni assunti nel recente accordo dell’aprile 2017, in particolare sulla mobilità e sulla riconversione professionale infra-gruppo.  Fino all’assenza di risposte concrete sulla difesa dell’integrità territoriale e il mantenimento delle sedi di lavoro, soprattutto per le sedi del call centre”.

Nell’accordo dell’aprile scorso, precisa la Rsa Fisac della sede di Anzola dell’Emilia (Bologna), si parlava di “reinternalizzare le attività (oltre il 70 per cento) affidate agli outsurcing, di qualificare professionalmente i lavoratori, di cominciare un percorso di armonizzazione di tutto il personale HelpLine così da eliminare le differenziazioni ancora esistenti”. Ma nulla di tutto questo sembra successo: “Chiusa la partita degli accessi al fondo e delle uscite, si è invece pensato bene, da un lato, di assumere un nutrito ‘battaglione’ di manager strapagati e di consulenti, con un’impennata del costo del lavoro senza precedenti, dall’altro, di continuare a esternalizzare tutto quello che era possibile esternalizzare”.

Il sindacato denuncia di trovarsi “al cospetto di una dirigenza che cerca solo di sfruttare ogni occasione per garantirsi vantaggi e visibilità, tutto questo a scapito dei lavoratori. Continua infatti a forzare la mano, tentando anche di disegnare una nuova organizzazione di cui pericolosamente non si comprende né il senso né la funzionalità. Si dice ‘i costi vanno contenuti’, ma nessuno sa quanto costano alla nostra società i signori che la dirigono”. La Fisac rimarca, infine, che “i lavoratori sono considerati ‘cose’ da colpire, cui togliere ogni diritto, da intimidire per dimostrare la propria forza. È questo il motivo per cui l’azienda sfugge a ogni confronto preferendo tirare dritto, invece di sostenere e assicurare il domani dei nostri lavoratori”.