Si fa un gran parlare, in questo periodo, della risorsa carbone, in particolare di quella disponibile nella miniera di Nuraxi Figus, nel Sulcis Iglesiente. Purtroppo lo si fa spesso senza una conoscenza adeguata, sia del caso specifico che dei temi più generali che riguardano il settore energetico nel suo complesso, con implicazioni che incidono notevolmente nel ragionamento sull’utilizzo e sulla valorizzazione della fonte carbone. D’altra parte c’è anche chi, incurante dei danni che produce con tale spregiudicatezza, specula sulla situazione per ricostruirsi una credibilità politica, cercando di far dimenticare responsabilità precise che derivano dall’essere parte di una compagine di governo che si è distinta per scelte sbagliate, ritardi o assenza di decisioni.

Nell’interessarsi di questioni a loro sconosciute alcuni politici cadono in errori che sarebbe eufemistico definire grossolani: basta leggere le dichiarazioni rilasciate ai giornali per capire che ci sono parlamentari, presidenti e assessori regionali che qualificano ancora Enel come ente monopolista di Stato, dimenticando, o peggio non sapendo, che quell’azienda, a seguito della liberalizzazione e privatizzazione dell’energia elettrica realizzata a cavallo del nuovo millennio (che molti di loro hanno votato), da un lato è una Spa e, dall’altro, non è più monopolista dell’energia elettrica.

Dalla liberalizzazione/ privatizzazione, e dal conseguente “spezzatino” di quell’ente, è passata tanta acqua sotto i ponti. Una fase nella quale si è modificato il mondo dell’energia: l’Enel ha cambiato ragione e scopo e ha ceduto impianti, reti e dipendenti (un esempio è la centrale di Fiume Santo nel nord della Sardegna) ad altre società, private e pubbliche. Da quella decisione nasce anche la Enel Produzione Spa, che si è espansa nel mondo e oggi vale il 19% del totale della produzione elettrica nazionale. Una società che in Sardegna è presente a Portovesme e che oramai partecipa al mercato e servizio elettrico regionale per circa il 20%, utilizzando la totalità del carbone estratto a Nuraxi Figus.

Il mercato, è importante non dimenticarlo, è condizionato dagli incentivi alle fonti rinnovabili, dal Cip 6 – l’incentivo – dell’assimilata Saras Sarlux e dalla priorità di immissione in rete di quelle produzioni. A proposito dell’incentivo concesso alla Sarlux, c’è da dire che sarebbe dovuto durare per otto anni e che invece pare sia stato accordato addirittura per 20. E ciò nonostante quell’agevolazione abbia già svolto la funzione per cui era stata concessa: contribuire al costo di realizzazione dell’impianto di gassificazione del residuo della lavorazione del petrolio della Saras, poi allargata a quello di importazione.

Ora si tratta di capire come muoversi fra le difficili regole del mercato e delle leggi: il carbone indigeno, per legge, può essere utilizzato esclusivamente in Sardegna. Ovvero nella centrale Grazia Deledda nel Sulcis Iglesiente, dove operano circa 500 dipendenti (indotto compreso). Questa centrale è, al momento, l’unica cliente della miniera Carbosulcis, con un contratto di acquisto del combustibile e conferimento ceneri del valore variabile di 25-30 milioni di euro l’anno.

Però la realtà è un’altra: lo stesso carbone si potrebbe già utilizzare, sia per la tecnologia esistente che per la stessa legge di cui dicevo prima, anche nella centrale E.On di Fiume Santo. Per quale motivo questo non avviene? Senza accantonare neanche per un momento la necessità di andare verso la realizzazione del polo tecnologico integrato miniera/centrale con la nuova tecnologia a emissioni zero di CO2, per quale ragione viene scartata a priori la possibilità di ragionare sull’utilizzo del carbone Sulcis anche fuori dai confini dell’Iglesiente, nel rispetto delle normative e con l’uso delle tecnologie più avanzate? Perché non si vuole valorizzare questa risorsa energetica, unica a livello nazionale? Gli errori compiuti finora sono molteplici.

Ad esempio è contestabile il fatto che in Carbosulcis sia stato messo in secondo piano un progetto, varato dal reparto ricerca della miniera, per abbattere lo zolfo prima della combustione, un procedimento che avrebbe creato valore aggiunto con sottoprodotti assorbibili dal mercato. Oppure, altro fatto contestabile, la scelta di accantonare il progetto di conferimento in sottosuolo, sfruttando i vuoti della coltivazione delle ceneri residue della combustione del carbone. E ancora, la stessa decisione di eliminare il reparto ricerca nella miniera. Si tratta di scelte davvero assurde, che hanno minato il futuro dell’attività estrattiva e l’utilizzo di una risorsa preziosa come il carbone del Sulcis.

A monte di queste decisioni c’è una gestione più politica che industriale della miniera. Ora, però, non è più tempo di scelte sbagliate, ne va della sopravvivenza e del futuro della Carbosulcis e dello stesso settore energetico. È arrivato il momento di aprire una discussione in merito al fatto che già oggi, sia per tecnologia (più moderna rispetto al Sulcis), che per la legge (che prevede la possibilità di utilizzare in ambito regionale il carbone indigeno) la centrale elettrica E.On di Fiume Santo deve essere chiamata anche all’utilizzo del carbone estratto a Nuraxi Figus.

Dovremmo essere capaci di prendere spunto dai buoni esempi: in Germania, la lignite (combustibile decisamente più scarso rispetto al carbone sardo), viene utilizzata in tutto il territorio nazionale e da sola vale ben il 24% nel mix del combustibile per la produzione di energia elettrica del paese. Che peraltro ha il costo di produzione fra i più bassi in Europa. Se si riuscisse ad applicare questo ragionamento di politica industriale e valorizzazione dell’unica risorsa energetica disponibile, il milione di tonnellate (meno del 6% dei 17milioni bruciati oggi in Italia) necessario per portare a profitto la Carbosulcis si potrebbe facilmente utilizzare – miscelandolo in percentuale minimale – in tre o quattro centrali a carbone nel nostro paese.

Queste proposte, per le quali è precondizione necessaria, con tutto quel che ne consegue, triplicare l’attività di estrazione del carbone, le abbiamo avanzate più volte. Avevano trovato una sponda nel precedente governo regionale ma quando è cambiato il quadro politico il ragionamento si è arenato, tutto si è fatto più difficile e macchinoso, lasciando il posto a clientelismo e affarismo. I nemici del carbone, e soprattutto del nostro carbone, sono perfettamente individuabili. C’è stata miopia, incompetenza, superficialità politica.

C’è stata spregiudicatezza nell’uso del potere. Il tutto è oggi accentuato dalla mancanza di rispetto delle istituzioni, oltre che degli interessi generali. In conclusione, per uscire da questa situazione, occorre davvero uno scatto d’orgoglio che, anche con l’ammissione e il superamento degli errori, faccia partire un nuovo corso. Date le condizioni attuali, il cambiamento deve necessariamente partire dal ministero delle Sviluppo economico che, senza perdere altro tempo, dovrebbe chiamare a raccolta tutte le migliori forze politiche, industriali e istituzionali, con l’intento di mettere insieme le non poche opportunità offerte dalla tecnologia e avviare una concreta politica industriale ed economica. Una politica indispensabile per salvaguardare e dare dignità e sviluppo all’industria (risolvendo i problemi energetici) e alla valorizzazione del carbone a livello nazionale.

(* segretario generale Camera del lavoro Sulcis Iglesiente)