“Grazie a voi tutti che avete svuotato i posti di lavoro e avete riempito le piazze. Grazie per avere la forza di dire che se si va contro il lavoro non si cambia il Paese, ma lo si porta al degrado. Da mesi stiamo ripetendo a questo governo che senza lavoro non c'è prospettiva. Senza lavoro i nostri figli continueranno a fare le valige e ci priveranno della possibilità di scrivere un futuro diverso. Al presidente del consiglio vogliamo dire con nettezza che senza lavoro l'Italia non esce dalla crisi, ma continua a sprofondarci dentro”. Ha esordito con queste parole Susanna Camusso, segretario generale della Cgil dal palco di Piazza San Carlo a Torino, in conclusione della manifestazione per lo sciopero generale organizzato da Cgil e Uil. Sul palco con Camusso c'era Gianni Cortese, segretario nazionale della Uil.

“Renzi ieri ha detto che ci rispetta - ha continuato il leader Cgil dal palco torinese - e ci mancherebbe altro. Ma ha anche detto che continuerà per la sua strada. Allora sappia che il paese si cambia insieme al mondo di lavoro, se non lo si fa ci si ritrova con brutte compagnie, come ci raccontano le cronache di questo periodo. Sappia il governo che se vuole tirare dritto, siamo in grado di tirare dritti anche noi. Perché abbiamo la convinzione di cambiare il paese dando risposte concrete. Le nostre proposte sono semplici, come lo slogan del nostro sciopero: così non va, perché non c'è lavoro, perché stiamo tornando all'Ottocento, non stiamo entrando nel nuovo millennio.”

Secondo Camusso, poi, un paese con il lavoro diviso, precario e senza prospettiva, sarà un paese che scivola sempre più verso la povertà. “Tra le nostre proposte c'è quella di non distribuire a pioggia le risorse alle imprese, ma finanziando gli investimenti, la ricerca e le assunzioni. Se si vuole dare un segnale deciso bisogna aumentare il lavoro, gli investimenti devono corrispondere a delle persone in carne ed ossa, a dei rapporti di lavoro stabile”.

“Basta dividere
– ha detto Camusso - bisogna porsi il problema di quelli che non hanno lavoro, che devono sapere che l'Italia sta pensando a loro. Servono ammortizzatori universali. Ma se si segue la strada del governo chi ce li ha li perderà, chi non li ha continuerà a non averli, e nel frattempo la disoccupazione crescerà ancora”.

“Il governo – ha continuato – scelga se vuole stare con il mondo del lavoro
che oggi è nelle piazze e che giorno dopo giorno costruisce la ricchezza di questo paese. Le risorse ci sono, possono venire dagli evasori, dalla lotta alla corruzione, dalle grandi ricchezze che continuano a guadagnare nella crisi. Si abbia il coraggio di chiedere a tutti di pagare in base a quello che hanno. Questo sarebbe un cambiamento di verso, questo cambierebbe la faccia all'Italia, portando un po' di uguaglianza”:

“Invece – ha affermato il segretario generale della Cgil - il governo ripete che lo Statuto dei lavoratori è vecchio perché ha 40 anni. Non vorremmo un giorno sentire che la Costituzione è vecchia perché ne ha 70. Chi cerca la modernità dovrebbe sapere che lo straordinario cambiamento che portò allo Statuto arrivava dall'idea che il lavoro non si monetizza. Non c'è nulla di moderno nell'idea che nei post di lavoro si è più ricattabili. I diritti vanno estesi non tolti a chi ce li ha. Il Jobs act e la Legge di stabilità sembrano scritte sotto la dettatura di Confindustria, ma un paese non ha una propria idea e delega alle imprese è un paese che non ha un grande futuro. Anche a Confindustria diciamo: se volete tornare indietro nei diritti, e far abbassare la testa ai lavoratori come in passato, dimenticatevelo. Quel tempo lì non tornerà. Deve invece tornare il tempo della contrattazione.”

Poi Camusso ha concluso, rivolgendosi direttamente al governo: “Vogliamo la concertazione. Sappiamo bene che le leggi si fanno in Parlamento, ma di dilettanti allo sbaraglio ne abbiamo visti già troppi e ci sono bastati. L'esecutivo si fidi dei grandi saperi che il mondo del lavoro possiede. Scelga il luogo e le forme noi siamo pronti al confronto. Ma sappia che è inutile invocare l'abbassamento dei torni, perché c'è un solo modo per non riempire le piazze: che ci siano delle risposte, un cambiamento, degli interventi per un lavoro serio, dignitoso e riconosciuto. Noi siamo pronti. Ma il governo sappia anche che se vuole tirare dritto continuerà a trovarci pronti. Noi continueremo, anche nei luoghi di lavoro. E ciò che ci togliete lo riconquisteremo nelle fabbriche. E' lì la nostra storia, la storia che ha fatto grande questo Paese.