È la vertenza più pesante del Lazio, una delle più grandi d'Italia per numero di lavoratori coinvolti. Oltre quattrocento persone di fatto licenziate a fine mese, se non ci sarà un intervento tempestivo delle istituzioni. E se le istituzioni in campo si chiamano Camera dei deputati e Comune di Roma, ecco che la vicenda assume contorni ancora più inquietanti. Stiamo parlando della “Milano 90”, azienda del gruppo Scarpellini che per quasi vent'anni ha gestito in appalto alcuni prestigiosi palazzi storici della Capitale, fornendo oltre alla locazione anche una serie di servizi: portierato, assistenza ai parlamentari e ai consiglieri comunali, mense, bar, allestimento dei locali.

I problemi nascono dalla decisione di quelle stesse istituzioni di recedere dal alcuni contratti d'affitto, con la conseguenza di far cadere a ruota la gestione degli appalti. E così, degli attuali 476 dipendenti, in 426 saranno messi alla porta il prossimo 28 gennaio, giorno in cui terminerà la procedura di mobilità. Che tra l'altro, grazie all'impegno dei sindacati di categoria (la vertenza è unitaria) è stata già prorogata una volta. A ciò si aggiunga il braccio di ferro tra imprenditore e Campidoglio, sfociato in un contezioso legale, e il risultato è sempre lo stesso: licenziamenti da una parte, tagli ai servizi dall'altra.

Ora il tempo stringe e scende in campo la Cgil nazionale, con il segretario generale Susanna Camusso che oggi (19 gennaio) ha incontrato una delegazione nella sede di Corso d'Italia a Roma. “La nostra richiesta è di sospendere immediatamente la procedura di mobilità”, afferma il numero uno della Cgil: “Chiediamo un incontro urgente alla presidente della Camera Laura Boldrini, ai capigruppo delle forze politiche e al sindaco di Roma Ignazio Marino. E al presidente Squinzi chiediamo di spendere una parola”, aggiunge, ricordando che tra gli appalti in questione c'è pure la sede romana della Mapei (gli altri riguardano il Tar e l'Autorità per l'energia). Dopodiché, risolta la fase dell'emergenza, “sarà necessario un intervento diretto del governo, visto il coinvolgimento di tanti ministeri e istituzioni”, osserva ancora Camusso: “La presidenza del Consiglio dovrebbe prendersi in carico l'intera vertenza con una funzione di raccordo”, un intervento che “darebbe l'esempio di buon governo”.

Anche perché i lavoratori sono ancora in servizio e svolgono una serie di mansioni che verranno a mancare. “Non ci interessa la vicenda legale-giudiziaria, è irrilevante per noi", sottolinea il leader della Cgil. E neppure il dibattito sui costi della politica (ricordiamo che tutto nasce dalla recessione dei contratti d'affitto): "È quanto di più lontano possa riguardare questi lavoratori che, nonostante tutte le difficoltà, stanno dimostrando un grande senso di responsabilità e continuano a impegnarsi. Non è giusto che a pagare siano loro”.

Del resto non è un caso che la Milano 90 faccia parte del grande capitolo degli appalti, un sistema che da anni la stessa Cgil chiede di regolare in modo migliore. L'altra richiesta è infatti un “impegno delle istituzioni ad applicare la clausola sociale”, in altre parole la garanzia per i dipendenti di mantenere il posto se cambia la società che si aggiudica l'appalto. A tutto ciò fa da sfondo la difficile situazione del Comune di Roma con il caso Mafia Capitale e le ben note vicende giudiziarie, che però nulla hanno a che fare con l'impegno dei lavoratori: “Sorprende - insiste Camusso - che il Comune non si senta in dovere di affrontare la vertenza”.

Il riferimento è alle tante richieste di incontro avanzate dai sindacati al Campidoglio e rimaste inevase in questi mesi. “Abbiamo visto una sola volta il vicesindaco, poi più nulla”, racconta Valentina Italiano, segretario generale della Filcams Cgil di Roma Centro Ovest Litoranea. E nel frattempo i lavoratori sono passati dalla cassa integrazione in deroga ai contratti di solidarietà, con stipendi che non arrivano neanche a mille euro al mese e che da ottobre non sono stati più pagati per gli appalti del Comune. "È un vero e proprio braccio di ferro tra istituzioni e imprenditore, con immense difficoltà d'interlocuzione e alla fine rischia di pagare solo l'ultimo anello della catena”, conclude la sindacalista.