Quando si parla di periferia di solito vengono in mente le baraccopoli e le favelas delle grandi metropoli di paesi lontani, o magari le periferie delle nostre città, spesso mal collegate ai centri urbani e comunemente considerate pericolose. La sensazione di far parte di una periferia si è materializzata al nostro arrivo a Santa Luzia, man a mano che ci siamo rese conto di essere lontane da molti luoghi o servizi facilmente raggiungibili nelle nostre città.

Abbiamo costatato l’assenza di un’assistenza medica costante (sostituita da un farmacista assai competente) al servizio della popolazione, nel nostro caso composta in gran parte da bambini, la mancanza di cinema, teatri o spazi comunitari nei quali riunirsi. Gli stessi bar in cui ci si trova per bere o giocare a biliardo sono prevalentemente ad uso e consumo maschile. Così abbiamo facilmente compreso perché le persone si ritrovano a vivere i momenti di condivisione nelle strade, nelle piazze o semplicemente seduti davanti alla propria casa.

Santa Luzia si è sviluppata ai bordi dell’autostrada BR316 che collega le principali città di due grandi Stati: Belém, capitale dello Stato del Pará (nel nord del Brasile), e São Lúis, capitale del Maranão. La costruzione di questa autostrada ha favorito l’insediamento nella regione, che si è intensificato negli anni 70 con l’arrivo di agricoltori nordestini, piccoli proprietari terrieri, braccianti e senza terra, oltre agli imprenditori del legname che si sono installati in questa zona dopo averne osservato le enormi potenzialità. Seguendo questo flusso si sono andati stabilendo vari negozi e servizi che hanno dato forma alla località Km 47, che solo all’inizio degli anni 90 si è trasformata in municipio. Non ci si può però rendere conto dell’importanza di questa piccola cittadina se non si cambia ancora una volta prospettiva.

Entrando in contatto con la vita delle piccole o piccolissime comunità disseminate all’interno del municipio di Santa Luzia, fra strade sterrate, enormi pascoli di latifondisti e macchie di foresta ancora vergine, ci si rende conto di ciò che questa cittadina rappresenta per chi vive in un quasi completo isolamento, e che vede in Santa Luzia la grande metropoli che dà accesso alla maggior parte dei servizi di base che non sono presenti nelle comunità.

È questa la realtà che ci sta più coinvolgendo, dandoci la dimostrazione che non sono le comodità alle quali siamo abituati a darci una vita migliore, ma le relazioni sociali più strette e solidali che compensano reciprocamente le esigenze di ciascuno. Non ci si deve stupire infatti se qui la televisione o il frigorifero diventano mezzi condivisi tra più famiglie, o se gran parte delle novità arrivano attraverso il passa parola da una casa all’altra.

La sensazione è di sentirsi parte di una fitta rete di scambi della quale tutti usufruiscono per raggiungere gli obiettivi più disparati: dal passaggio in macchina al prestito di una vanga per lavorare la terra. Questo modo di vivere dovrebbe rappresentare un valido modello a cui aspirare, senza per questo idealizzare una realtà che è dura e faticosa, come è duro il lavoro nei campi e faticoso il ritmo imposto dalla campagna.

In questo scenario si svolge il lavoro della “Rete Bragantina di economia solidaria”, associazione che agglomera in modo fitto e capillare gli agricoltori della regione favorendone la collaborazione e l’interdipendenza. I figli degli agricoltori frequentano la scuola “Ecrama”, che prevede una o due settimane al mese di lezioni pratiche e teoriche. Durante questo periodo i ragazzi convivono in una struttura nata dalla collaborazione di varie organizzazioni (tra cui la ong italiana Servizio volontario internazionale, Svi), che da 8 anni cerca di applicare i principi dell’agro-ecologia sia nell’allevamento di animali, quali vacche, maiali e galline, sia nella coltivazione di differenti specie di piante, come fagiolo, mandioca, mais, sia nella creazione e manutenzione di un orto e di una serra. Attraverso queste pratiche sono gli alunni stessi che imparano a prendersi cura di un terreno e a rendere produttiva un’attività che possa integrarsi con il loro percorso di vita e con il contesto socioculturale.

Il nostro ruolo all’interno della scuola è molteplice: professoresse, contadine o aiuto cuoche a seconda delle necessità. Soprattutto nella parte pratica e di accompagnamento alle coltivazioni ci sentiamo anche alunne, in quanto le nozioni da apprendere sull’agricoltura locale sono davvero tante. Convivendo a stretto contatto con i figli degli agricoltori, anche noi abbiamo iniziato a conoscere le varie specie di piante e coltivazioni presenti nella regione. Attraverso le lezioni pratiche di agronomia stiamo imparando poco a poco a riconoscere le esigenze di ogni pianta e le accortezze che la loro cura richiede.

Tra i gruppi che compongono la Rete Bragantina vogliamo citare in particolare due associazioni, prevalentemente di stampo femminile, con le quali stiamo collaborando: Amol (Associação das Mulheres Olimpia da Luz) e Atavida (Associação Campo Cidade Trasformar e Agregar Valores e Vida). All’interno di questi gruppi le donne hanno la possibilità di emergere e di creare una fonte di reddito che contribuisca al mantenimento della famiglia.

Amol ha iniziato a organizzarsi negli anni 80 con un piccolo gruppo di donne che si riunivano per pregare e organizzavano incontri di riflessione incentrati sul ruolo della donna a partire dalla Bibbia e nella società odierna. Oggi Amol ha più di 30 iscritte che, attraverso il laboratorio di cucito, riescono a svolgere molte attività: corsi di taglio e cucito, corsi di pittura su tessuto e servizio di volontariato presso la Casa della Sopa (zuppa), situata in un quartiere disagiato della città. Contribuendo allo svolgimento di queste attività abbiamo potuto anche noi conoscere una parte di Santa Luzia che rappresenta un altro tipo di periferia e che riproduce l’esclusione tipica delle grandi città.

I bambini che vivono in questo quartiere, che ha indici di scolarità molto bassi, sono numerosissimi (5 o 6 per famiglia) e hanno situazioni familiari difficili. Obiettivo di Amol, oltre a promuovere l’incontro e lo scambio di informazioni tra le madri, è offrire ai bambini la possibilità di passare alcune ore della loro giornata in un ambiente tranquilllo per socializzare e giocare.

Atavida è un’associazione con tanto di statuto e libro di contabilità di cui fanno parte prevalentemente donne, ma dove non manca l’appoggio maschile. Il suo obiettivo è creare qualcosa di produttivo con ciò che la natura offre da queste parti, attraverso la trasformazione della frutta e la (assai difficile) pulizia della radice di mandioca, per fornire un’alimentazione destinata prevalentemente alle merende degli scolari, in linea con i principi dell’economia e dell’agricoltura familiare. Oltre ad assicurare un reddito a chi fa parte del gruppo, questo lavoro porta benefici agli agricoltori che forniscono le materie prime. Grazie al supporto della cooperativa Coomar, il gruppo riesce a commercializzare i suoi prodotti a un pubblico più vasto.
Siamo consapevoli che il nostro contributo è una goccia nel mare ma, nonostante questo, ci auguriamo che possa aiutare lo sviluppo e l’autonomia e della Rete.

* Le autrici di questo articolo fanno parte di un progetto finanziato dal Servizio civile internazionale affidato alla ong italiana Svi (Servizio volontario internazionale).