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ArcelorMittal annuncia un piano industriale lacrime e sangue, facendo carta straccia dell'accordo siglato appena un anno fa: 4.700 esuberi entro il 2023, passando da 10.789 occupati attuali a 6.098. Gli esuberi (di cui 2.900 subito) arriverebbero però a 6.300, considerando i mancati rientri al lavoro dall'amministrazione straordinaria. Un piano "irricevibile" per i sindacati, la cui risposta è immediata: sciopero a Taranto di 32 ore (dalle ore 23 di lunedì 9 dicembre alle 7 di mercoledì 11) dei lavoratori ex Ilva e manifestazione nazionale a Roma martedì 10 dicembre, con concentramento alle ore 10 in piazza Santissimi Apostoli.
Si è concluso dunque rapidamente il tavolo odierno sulla vertenza dell'ex Ilva di Taranto al Mise. All'incontro, oltre al governo, erano presenti l'azienda, i tre commissari Francesco Ardito, Alessandro Danovi e Antonio Lupo, Fim, Fiom, Uilm, Ugl e Usb, assieme ai segretari di Cgil, Cisl e Uil, Federmanager e i sindacati della categoria dei chimici e dei trasporti.
Al termine del tavolo i sindacati dei metalmeccanici Fim, Fiom e Uilm hanno diffuso una nota in cui respingono il piano industriale: "I 6300 esuberi ipotizzati da ArcelorMittal non possono neanche essere presi in considerazione. Per Fim Fiom Uilm l’accordo del 6 settembre 2018 è ancora valido e vincolante. Per queste ragioni le segreterie nazionali di Fim Fiom Uilm proclamano per martedì 10 dicembre 24 ore di sciopero in tutti gli stabilimenti di ArcelorMittal e nell’indotto con manifestazione a Roma che confluirà nell’iniziativa di Cgil, Cisl e Uil già programmata a piazza Santi Apostoli".
Per Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, quello presentato al Mise da Arcelor Mittal Italia "non è un piano industriale: è un progetto di chiusura nel tempo di Taranto e di Ilva. Abbiamo un accordo firmato un anno fa che prevede investimenti, 8 milioni di tonnellate di acciaio da produrre e quella è la base da cui partire. Per noi la discussione è possibile se si parte dall'accordo che abbiamo firmato", ha detto Landini.
Landini ha aggiunto che la Cgil è chiaramente "disponibile a discutere se ci sono problemi di tempo, o sul tipo di realizzazione degli investimenti, o ancora se c'è la volontà di utilizzare nuove tecnologie o quella relativa ad un ingresso pubblico. Ma i due punti fermi - ha chiarito - sono gli 8 milioni di tonnellate da produrre e la difesa dell'occupazione". Il segretario Cgil ha infine ricordato come l'accordo del 2018 fu approvato "con voto segreto del 98% dei lavoratori".
"Questo piano fa carta straccia del contratto di assegnazione e dell’accordo sindacale - dichiara Francesca Re David, segretaria generale della Fiom Cgil - L’accordo del 6 settembre del 2018 prevede zero esuberi anche attraverso la clausola di salvaguardia. E il piano presentato dall’azienda significa la chiusura progressiva dell’ex Ilva. Ogni confronto non può prescindere dalla produzione di acciaio prevista dal piano industriale, dalla piena occupazione oltre che dall’attuazione del piano ambientale. Il Governo che ha respinto la proposta di ArcelorMittal - conclude Re David - si è impegnato a presentare un documento in tempi brevi”.
Sulla stessa linea anche Anna Maria Furlan (Cisl) e Carmelo Barbagallo (Uil). "Non ci sono le condizioni per aprire un confronto. Noi un accordo lo abbiamo fatto un anno fa e non venti anni fa anni e per noi quello rimane. E con quelle caratteristiche", ha detto Furlan. Mentre per Barbagallo il piano "parla solo di esuberi e diminuzione della produzione. Abbiamo chiesto al Governo di farci capire la sua posizione, i commissari avevano già delle perplessità".
Deluso per l'atteggiamento di Mittal anche il ministro Stefano Patuanelli: "L'azienda invece di fare un passo avanti ha fatto qualche passo indietro - ha detto - ricominciando a parlare di 4.700 esuberi alla fine del nuovo piano industriale, che prevede comunque un forno elettrico e una produzione finale di 6 milioni di tonnellate. Questa non è l'idea che ha il Governo sullo stabilimento. Riteniamo che la produzione a fine piano debba essere più alta, arrivando almeno ad 8 milioni di tonnellate". Patuanelli ha aggiunto che "entro il 20 dicembre serve capire se siamo in grado andare avanti con la trattativa oppure no. Se la posizione è quella di oggi ed è una posizione rigida non credo che ci saranno le condizioni per continuare a trattare".