Il Friuli Venezia Giulia, si sa, è una regione autonoma. Trattiene sul territorio le quote delle tasse destinate alla sanità ma non partecipa al riparto del Fondo sanitario nazionale. Aveva un buon servizio, il passato è d’obbligo perché nel tempo le cose sono peggiorate.

Era l’ottobre del 2014 quando il Consiglio regionale varò la legge di riforma voluta dall’allora presidente Serracchiani. “Andava nella giusta direzione” afferma Orietta Olivo, segretaria generale della Fp Cgil regionale, “ma una volta approvata non è stata portata a compimento, è rimasta a metà”. Però quella legge di riordino aveva investito sul territorio e sul pubblico, il privato era residuale, solo il 3,5% delle risorse pubbliche era destinata alle convenzioni con il privato. Ci sarebbe voluto tempo. Ma il tempo non c’è stato, nell’aprile 2018 è stato eletto presidente della Regione Massimiliano Fedriga della Lega che ha smantellato quella riforma, lo aveva promesso in campagna elettorale, ma ha fatto anche di più “senza affermarlo esplicitamente, ha depotenziato il servizio pubblico per poter implementare la quota di risorse destinate al privato”, afferma tra l’arrabbiato e lo sconsolato Olivo. Il 2019 si è concluso con oltre il 6% del bilancio della sanità destinato al privato e con oltre 400 unità di personale in meno rispetto all’anno precedente. Poi è arrivato il Covid.

Poco più di 1 milione e 200mila abitanti distribuiti dal mare alle montagne in un territorio orograficamente complicato. Questo è il Friuli Venezia Giulia. E se la prima ondata è stata sopportata abbastanza bene dal sistema, perché il virus non si è diffuso molto, la seconda ha trovato ospedali e territorio impreparati. Oggi gli attualmente positivi sono 14.468 con un incremento nelle ultime 24 ore di 736 uomini e donne, e tanti non ce la fanno, in media 25 al giorno. I posti letto sono occupati oltre il 50% (ricordiamo che secondo il Comitato tecnico scientifico la soglia di guardia da non superare è del 40) e le terapie intensive sono occupate assai di più rispetto alla prima ondata.

La preoccupazione maggiore dei sindacati, Fp Cgil in testa, è la tenuta del personale. Medici, infermiere e infermieri, Oss, tecnici e personale amministrativo sono davvero troppo pochi, “tuttavia – aggiunge la segretaria della Fp – posso affermare senza tema di essere smentita, se il sistema non ha collassato è solo grazie a loro. Ma non ce la fanno più”. Lo spiega bene Paolo Scalon, operatore socio sanitario all’ospedale di Palmanova del Friuli, si occupa dell’igiene dei pazienti, delle piccole medicazioni e di coadiuvare gli infermieri: “Siamo pochi e poco formati, non abbiamo nemmeno il tempo di andare in bagno. E quando ci ammaliamo, purtroppo è frequente, non veniamo sostituiti e chi è in servizio è costretto a turni massacranti. Da novembre ci hanno bloccato pure le ferie”.

Sono talmente pochi che a giugno il comparto aveva già accumulato ben 464mila ore di straordinario, se si proietta questo dato sull’anno, senza tener conto della seconda ondata, si sforerà la soglia di 1 milione di ore. Basti pensare che un’addetta al dipartimento, da febbraio al 30 novembre, ha già accumulato 1500 ore di straordinario quando le ore di lavoro ordinario in un anno sono 1620. Insomma in un anno ne ha lavorati due! “Durante la prima ondata, aggiunge Orietta Olivo, si son tutti buttati di pancia e con il cuore in mano per cercare di fronteggiare la pandemia. Non si aspettavano un autunno così duro e non vedono la fine di questo super lavoro durissimo. Le condizioni non sono certo quelle che dovrebbero essere. Percorsi “sporco pulito” non distintamente separati, e dispositivi di protezione individuale non sufficienti. Tute e mascherine ci sono ma non si possono cambiare durante il turno perché scarseggiano, mentre i calzari di protezione mancano proprio”.

I decreti approvati dal G+governo per fronteggiare l’epidemia e potenziare il Servizio sanitario hanno stanziato risorse per l’assunzione del personale anche per il Friuli Venezia Giulia, ma durante l’estate non si è fatto nulla, in legge di bilancio regionale sono appostate le risorse per l’aumento di spesa per il personale. Se tutto andrà bene, il prossimo anno dovrebbero arrivare 500 assunzioni. Nel frattempo le aziende promuovono paradossali avvisi pubblici per reclutare personale. A Pordenone, ad esempio, il direttore dell’azienda ha proposto agli infermieri contratti di due mesi! I sindacati hanno promosso una mobilitazione riuscendo così a portare a fine giugno la scadenza contrattuale.

Nonostante i colpi subiti, la sanità di territorio in Friuli Venezia Giulia ancora, in parte regge. Esiste un servizio di assistenza domiciliare che in altre regioni ci sogniamo, certo gli addetti sono pochi ma il servizio esiste. Ora, immaginiamo che gli infermieri e le infermiere che tutti i giorni si recano a casa dei malati per fare prelievi, medicazioni, somministrare le terapie e le cure palliative, svuotare drenaggi e medicare ferite, ma anche somministrare tamponi e monitorare e curare i pazienti Covid che possono rimanere a casa, siano personale esposto ad alto rischio contagio. E invece, per il direttore dell’azienda sanitaria di Pordenone così non è, non solo  a questi lavoratori non è stato corrisposto il premio Covid per i tre mesi della prima ondata, previsto dai decreti governativi, ma  l’unica attenzione che sono riusciti a ottenere grazie alle lotte sindacali è un test antigenico rapido (non il tampone molecolare) ogni 4/6 settimane. E se lo devono autosomministrare. 

Maria Toto ci risponde alle 17.30 di pomeriggio appena rientrata in casa dal turno come infermiera di assistenza domiciliare cominciato alle 7.30 del mattino. Ha una bella voce allegra e si scusa “sono forse un po’ confusa ma sono davvero stanca”, nel raccontare sembra davvero un fiume in piena. “Non solo ci occupiamo dei pazienti Covid, somministriamo i tamponi a domicilio, ma non sappiamo mai se a casa di una persona a noi affidata per altre patologie poi non incontriamo qualcuno contagiato. A me è capitato di scoprire che la badante di un anziano aveva la febbre e poi si è scoperto avere il Covid e aver contagiato anche gli altri abitanti della casa”. Lei e le sue colleghe fanno davvero un gran lavoro girando per un territorio di montagna ed esteso: “Siamo in 30 per tutto il distretto, aggiunge Toto, distribuite su tre sedi,Pordenone, Cordenons e Porcia, lavoriamo su due turni giornalieri e dobbiamo anche, oltre che guidare, sanificare strumenti e automobile, tutto da sole. Siamo davvero poche, se si pensa che al momento almeno tre di noi sono a casa perché positive e alcune sono state comandate nei reparti Covid degli ospedali perché in tutto il distretto mancano infermieri. E pensare – racconta ancora – che a marzo (in piena prima ondata) il nostro direttore sanitario si è rifiutato di rinnovare il contratto a 25 di noi assunti a termine”.

Il direttore è recidivo: proprio giovedì della scorsa settimana, dopo l’ennesimo rifiuto di rinnovare il contratto per 62 infermieri e 58 oss in scadenza a fine dicembre, le organizzazioni sindacali si sono rivolte al prefetto che ha provato a mediare senza riuscirvi. Il giorno dopo, lavoratori e lavoratrici si sono dati appuntamento davanti alla sede del distretto e hanno manifestato chiedendo il rinnovo e l’assunzione di ulteriori 200 unità tra infermieri e operatori socio sanitari. Qualcosa hanno ottenuto, i contratti precari saranno rinnovati.

“Il Covid è un nemico invisibile, colpisce i polmoni ma agisce anche a livello psicologico. C’è chi è preda dell’ansia e dell’angoscia e chi per paura arriva a negarne l’esistenza. E chi aveva disturbi mentali prima dell’arrivo della pandemia certo non può essere lasciato solo”. Calogero Anzello è uno psichiatra e presta servizio presso il Centro di salute mentale di Latisana. Il Friuli è la terra che ha visto operare Basaglia, la riforma della psichiatria è nata qui e certo l’idea di non seguire i pazienti proprio non è pensabile. “Ci siamo organizzati per continuare nel nostro lavoro di assistenza di prossimità, abbiamo un po’ ridotto le visite in presenza ma continuiamo a farle, certo in sicurezza e dopo un adeguato triage, e poi abbiamo intensificato i colloqui telefonici e gli incontri on line”. Tutto bene allora? “Certo meglio che altrove e in altri servizi, ma non abbiamo medici e nemmeno pc muniti di telecamera e per le video sedute sono indispensabili”.

Manca il personale, sembra il ritornello stonato di una canzone triste, lo sentiamo ripetere ovunque. E alle carenze, purtroppo strutturali, si aggiungono quelle causate dal coronavirus, dati precisi non se ne conoscono. La segretaria Olivo, per riuscire ad avere informazioni sullo stato della sanità regionale, ha dovuto mandare all’assessore Riccardi un ufficiale giudiziario con un’ingiunzione, ma i contagiati sono almeno 600 tra i dipendenti delle Rsa e 800 tra quelli del servizio sanitario regionale. Fino ad arrivare alla situazione dell’ospedale di Spilimbergo: chiuso il reparto di medicina e trasferiti i pazienti perché tutti i medici sono positivi.