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È notizia recente che Duolingo, l’app per l’apprendimento delle lingue diffusa in tutto il mondo, licenzierà gradualmente i suoi collaboratori per sostituirli con l’intelligenza artificiale. Ad annunciarlo è stato il ceo Luis von Ahn, che affermato: “Ci abbiamo messo 12 anni per sviluppare circa 100 corsi. Con l’AI in un anno ne abbiamo prodotti 250”. Un percorso simile lo ha intrapreso un’altra grande piattaforma multinazionale, nonché competitor di Duolingo: Babbel. Sul rapporto tra intelligenza artificiale, lavoro intellettuale e diritto d’autore sta molto riflettendo la Slc Cgil, che ha organizzato per domenica 18 maggio un’assemblea pubblica a Roma. Si discuterà di uso delle nuove tecnologie nel settore dell’editoria e, in particolare, dell’impatto che stanno avendo sul lavoro e la contrattazione.
Lia Bruna, coordinamento nazionale Strade (Traduttori) Slc Cgil, cosa ci dice quello che sta accadendo?
Intanto ci conferma l’avanzare di un processo in atto da tempo, che è passato proprio dalle app: la disintermediazione nell’insegnamento e nell’apprendimento delle lingue straniere. Questi nuovi servizi linguistici, grazie all’intervento dell’algoritmo, hanno permesso di saltare le modalità tradizionali che prevedevano il rapporto con un docente, sostituendolo con figure lavorative nuove – e ben più alienanti, oltre che più precarie – che si occupano di svolgere questo nuovo tipo di mansioni.
Prima c’è stata la disintermediazione scolastica. Ora è proprio l’insegnamento a essere affidato direttamente alla tecnologia. Con quali costi per il capitale umano?
Enormi, benché funzionali per queste aziende alla riduzione dei costi di produzione. A essere ridotta, quando non completamente eliminata, è la presenza umana, con le sue competenze, la capacità di interazione.
C’è un problema legato alla qualità? L’AI non è ancora infallibile.
Certamente. Esiste di fatto un tema legato alla qualità dei servizi che vengono offerti, alla qualità del prodotto, che arriva ad avere effetti anche sul modo in cui le persone apprendono e parlano una lingua. Peraltro questo vale anche per altri contesti in cui si ricorre ai servizi linguistici: la traduzione tecnica, quella giuridica per esempio, l'interpretariato, la traduzione editoriale. Un altro elemento interessante da sottolineare è che c'è un una maggiore produttività, ma al prezzo dello sfruttamento selvaggio del lavoro e delle competenze professionali, che passa attraverso l’accumulazione di milioni di dati prodotti negli anni dai lavoratori. Tutte le app e i software che agevolano la traduzione automatica si basano su un contributo attivo dei lavoratori che le usano, e che spesso, anche senza saperlo, le addestrano.
Cioè l’AI non crea contenuti dal nulla, ma “sfrutta” il sapere già prodotto e accumulato dagli uomini.
Esattamente. l'intelligenza artificiale estrae valore da quello che gli uomini hanno già prodotto negli anni e che è immediatamente accessibile online. Lo ricicla, generando contenuti che possiamo definire nuovi, ma basati su modelli statistici preesistenti. Nel caso specifico delle piattaforme come Babbel e Duolingo, viene simulato l'insegnante umano basandosi sul modello delle videoconferenze che si usano per l'interpretariato e la traduzione simultanea. Può capitare che gli stessi lavoratori, nel momento in cui firmano il contratto di lavoro, cedano il diritto di addestrare l'intelligenza artificiale che poi li sostituirà.
Esiste però una questione legata alla lesione del diritto d’autore?
C’è stato un momento in cui la legislazione non era ancora al passo coi tempi, non c'era ancora l’AI Act, che richiama alla trasparenza e stabilisce norme armonizzate sull'intelligenza artificiale nel contesto europeo. Come sempre accade, la tecnologia evolve più in fretta delle leggi. Penso che sia molto probabile che le big tech abbiano approfittato di quella fase di vuoto normativo per prendere online tutto ciò che era accessibile, in modo legale o illegale. Non è un caso, infatti, che in questa fase le big tech corteggino le imprese editoriali, incentivandole a vendere il loro materiale agli sviluppatori di intelligenza artificiale. E penso che non ci vorrà molto prima che ciò avvenga massivamente. Oggi, il valore di una casa editrice non si misura più soltanto dalla qualità delle opere e degli autori che pubblica, ma anche dalla vastità del suo catalogo. Il che si traduce nella possibilità di disporre di tantissime opere, e il più eterogenee tra loro, per sviluppare e addestrare modelli di intelligenza artificiale generativa, che permetteranno di fare a meno dei lavoratori.
Il futuro non si può arrestare. Cosa fare per mettere dei limiti a evoluzioni distopiche e tutelare i diritti dei lavoratori?
Innanzitutto contrattualizzare le nuove mansioni e provare in questo momento di incertezza, in cui anche gli editori si trovano in una situazione di fragilità, a negoziare con loro, a procedere insieme. Il lavoro non scompare: viene nascosto, alienato, trasformato, precarizzato. Questo dobbiamo evitare. In futuro ci saranno meno traduttori, per esempio, ma crescerà la domanda di revisori dei testi tradotti dall’intelligenza artificiale. Dunque, il sindacato deve lavorare sulla contrattazione relativa a queste nuove mansioni, introducendola laddove non esiste ancora. E accompagnare tutte quelle persone che per forza di cose dovranno abbandonare il loro vecchio lavoro e avviare un processo di evoluzione personale, supportandole nella formazione e nell’acquisizione di competenze completamente nuove. L’altra cosa da fare è stare, fisicamente, nei luoghi di lavoro.