Davvero un bel risultato quello del Governo Meloni, negli ultimi due anni sono aumentati economia sommersa e lavoro illegale. Per essere la compagine che afferma ordine e legalità c’è davvero di che essere soddisfatti. O forse ordine e legalità debbono affermarsi per fragili, emarginati e uomini e donne in difficoltà, non devono valere per chi non sopporta lacci e laccioli e sull’altare del massimo profitto fa strame di regole e norme.

I numeri non mentono

È l’Istat, come previsto dalle norme, che ogni anno in prossimità della legge di bilancio pubblica i dati sull’economia non osservata. Quelli di quest’anno sono inequivocabili. L’illegalità in economia è aumentata. Nel 2023, rispetto all’anno precedente l’economia non osservata passa a + 15,1 miliardi, pari al 7,5 per cento in più; l’economia sommersa (quella al netto delle attività illegali) arriva a 198 miliardi di euro, in crescita di 14,9 miliardi rispetto all’anno precedente, mentre le attività illegali sfiorano i 20 miliardi; le lavoratrici e i lavoratori irregolari sono 3 milioni 132 mila, in crescita di oltre 145 mila unità rispetto al 2022.

Lo scontro

Mentre il governo ha varato la legge di bilancio, l’Istat racconta come la propensione ad evadere le tasse dichiarando meno di quanto si fattura è aumentata. “Rispetto all’anno precedente, il valore aggiunto dovuto alla sotto-dichiarazione ha registrato un incremento del 6,6% (pari a +6,7 miliardi di euro)”. Il vice premier Salvini in Consiglio dei ministri fa l’esaltazione della rottamazione delle cartelle esattoriali, cioè condono. Arriva chiaro il monito del Presidente della Repubblica Mattarella che parlando ai Cavalieri del Lavoro ha ricordato energicamente che “sono le entrate fiscali dei dipendenti pubblici e privati, dei pensionati, a fornire allo Stato, attraverso le imposte, il maggior volume di risorse”

Lo sfruttamento del lavoro

Va ancora peggio per quanto riguarda il lavoro sommerso, l’Istituto nazionale di statica registra che il valore aggiunto “generato da lavoro irregolare ha segnato una crescita dell’11,3% (corrispondenti a +7,8 miliardi)”. E mentre ancora il presidente Mattarella ha ammonito la politica affermando che “dinamiche di mercato concorrono ad ampliare questi squilibri nelle retribuzioni, ne nasce un aspetto a cui non si può sfuggire quando tante famiglie sono sospinte sotto la soglia di povertà nonostante il lavoro di almeno uno dei componenti, mentre invece super manager godono di remunerazioni centinaia, o persino migliaia di volte superiori a quelle di dipendenti delle imprese”, sempre l’Istat afferma che la pratica del lavoro nero e quindi dello sfruttamento si diffonde sempre più. Ebbene dalla conferenza stampa di presentazione della manovra non è arrivata indicazione su come restituire dignità al lavoro.

La preoccupazione della Cgil

“Il lavoro nero e irregolare in Italia ha raggiunto livelli record nel 2023. Questo fenomeno riflette un grave peggioramento dei diritti e delle tutele ed è l’effetto di politiche sbagliate e non incisive, della riduzione della capacità produttiva, del calo della qualità nella produzione di beni e servizi e della crescita della concorrenza sleale verso le tante imprese serie che rispettano leggi e contratti”. Così la segretaria confederale Cgil, Maria Grazia Gabrielli, e il responsabile appalti, lotta al lavoro nero Cgil nazionale, Alessandro Genovesi, commentano i dati diffusi dall’Istat sull’economia non osservata.

Chi e perché è irregolare

L’analisi dell’Istat si fonda sui numeri ed è precisa: “L’aumento del tasso di irregolarità è dovuto alla forte crescita del lavoro non regolare, la cui dinamica (+4,9%) è stata circa il doppio rispetto a quella dell’input di lavoro regolare. Quest’ultimo ha registrato nel 2023 un aumento del 2,4% (circa +503,5mila Ula), determinato prevalentemente dalla componente dei dipendenti (+3,1% Ula regolari pari a +464mila Ula). Il tasso di irregolarità si è confermato più elevato tra i dipendenti in confronto agli indipendenti (pari, rispettivamente, al 12,9% e al 12,2%); è proseguita, tuttavia, la tendenza all’attenuazione della differente incidenza del lavoro irregolare tra le due componenti, in atto dal 2018”.

Controlli, regole, e cambio di cultura di impresa

Per Gabrielli e Genovesi: “Occorre un cambio di rotta radicale, con interventi volti a favorire non solo più controlli e presidio del territorio, ma modelli di impresa diversi, con vincoli e condizionalità per operare sul mercato e per aumentare il conflitto di interessi tra evasori e consumatori. Interventi ormai orientati alla compliance, i subappalti a catena o la proposta di deresponsabilizzare i committenti nella filiera della moda non risolvono il problema, ma rischiano di ampliarlo, favorendo illegalità e infiltrazioni criminali”.

“Serve al contrario - sottolineano i due dirigenti sindacali - la generalizzazione di meccanismi di congruità nei principali settori, dall’obbligo di rispettare specifici indici in agricoltura per poter vendere o trasformare i beni agricoli e per poter beneficiare dei contributi pubblici a quanto, per esempio, proposto unitariamente dal sindacato dei tessili con indicatori di rispetto dei costi medi per tipo di produzione e fatturato”. Inoltre, secondo Gabrielli e Genovesi “è necessario un intervento generale di defiscalizzazione dei contributi previdenziali a favore di famiglie e lavoratori nel settore domestico, dalle badanti alle baby sitter, prendendo atto del fallimento di strumenti come PrestO o il libretto famiglia. Servono Indicatori Sintetici di Affidabilità Contributiva più legati al rapporto tra quantità di beni e servizi e numero minimo di lavoratori necessari”.

Lavoro migrante, lavoro irregolare

Il settore dell’agricoltura e della produzione alimentare è quello che ha registrato la maggiore incidenza di lavoro irregolare. E di lavoro sfruttato dai caporali, è quello il settore popolato da uomini e donne migranti, due volte sfruttati perché sotto il ricatto che scaturisce dalla irregolarità. Per questo i due dirigenti sindacale della Cgil affermano: “Una riforma strutturale della Bossi-Fini per permettere a migliaia di migranti già presenti nel Paese di rompere il ricatto dei caporali e poter accedere ai permessi di soggiorno. E potremmo continuare nell’elenco di proposte che come Cgil e unitariamente da tempo stiamo avanzando e portando avanti, a partire da una maggiore responsabilità di chi, spesso grande impresa, vive strozzando piccole imprese, fornitori, piccoli produttori e relativi lavoratori e lavoratrici”.

Se il governo c’è batta un colpo

“Il punto di fondo è capire se esista la volontà politica, da parte del Governo e delle grandi imprese, di colpire chi sfrutta i lavoratori e le lavoratrici, chi fa utili dichiarando solo parzialmente costi e fatturati sottraendo ogni anno al Paese centinaia di miliardi che potrebbero finanziare sviluppo, crescita e protezione sociale, rendendo l’Italia più giusta, sostenibile e competitiva”, concludono Gabrielli e Genovesi.