In Italia nel 2020 gli investimenti in ricerca e sviluppo hanno rappresentato il 1,53% del Pil (fonte: Rapporto Istati Ricerca e Sviluppo in Italia 2018-2020) percentuale che, sebbene in leggero aumento rispetto gli ani precedenti, comunque non ci pone agli stessi livelli di spesa dei più paesi più avanzati. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è da molti mesi al centro del dibattito del paese per le indubbie opportunità di investimenti, trasformazioni e riforme che sono puntualmente descritte nelle oltre 300 pagine costituenti il documento. Molta attesa è stata posta anche dal mondo della ricerca verso le azioni declinate nel Pnrr atte a supportare una crescita di investimenti nel settore. 

Il Pnrr è strutturato in 6 "missioni", per le quali le risorse finanziarie assegnate sono pari a 235,15 miliardi di euro. Alla Missione 4: Istruzione e Ricerca sono assegnati 30,88 miliardi, dei quali 11,44 al settore Ricerca. Dalle cifre esposte si ricava facilmente che sono state assegnate per la ricerca il 4,86% delle risorse dell’intero Pnrr. Una prima considerazione porterebbe a dire che in un paese come l’Italia in cui, nonostante le antiche carenze strutturali, non manca il capitale umano di eccellenza nella ricerca scientifica, sarebbe stata auspicabile un’azione più incisiva in termini di risorse dedicate alla ricerca nel Pnrr.

Ciononostante, indubbiamente le risorse previste sono in valore assoluto considerevoli, ma vanno analizzate un po’ più a fondo le azioni previste all’interno della Missione 4. La componente dedicata alla ricerca è la M4C2: Dalla ricerca all’impresa che “mira ad innalzare il potenziale di crescita del sistema economico, favorendo la transizione verso un modello di sviluppo fondato sulla conoscenza, conferendo carattere di resilienza e sostenibilità alla crescita. Le ricadute attese della componente si sostanziano in un significativo aumento del volume della spesa in R&S e in un più efficace livello di collaborazione tra la ricerca pubblica e il mondo imprenditoriale“.

Dalla descrizione delle finalità dell’azione appare chiaro che le attività di ricerca sono indissolubilmente legate ad una forte collaborazione tra il mondo scientifico e quello industriale atta a favorire processi che consentano di generare valore e crescita per il Paese. Un ruolo chiave lo assume sempre di più l’attività di valorizzazione, che deve essere concepita come un’azione non separata e successiva alla produzione di conoscenza ma deve rientrare in una programmazione integrata dell’intero ciclo della produzione di conoscenza. Tuttavia, non bisogna incorrere nell’errore di porre l’enfasi sulle sole attività di ricerca in grado di generare risultati applicabili nel breve termine: è oramai acclarato da numerosi studi che la ricerca fondamentale (o di base), che per sua stessa natura non è necessariamente finalizzata a specifiche applicazioni, è fattore chiave nei processi di innovazione tecnologica di lungo periodo, e non solo genera nuova conoscenza ma produce indubbi benefici economici.

Sulla base di quanto sopra esposto, passiamo ad analizzare più in dettaglio gli ambiti e la tipologia degli interventi previsti dal Pnrr. Nella tabella 1 è riportato il quadro complessivo delle risorse stanziate per ambiti di intervento/misure. Notiamo che le risorse sono stanziate sia per attività di ricerca in senso stretto sia per interventi di tipo strutturale. In particolare, per ciò che concerne l’intervento “Rafforzamento della ricerca e diffusione di modelli innovativi per la ricerca di base e applicata, condotta in sinergia tra università e imprese” le risorse propriamente dedicate alle attività di ricerca di base sono legate alle linee di investimento 1.1,1.2, ed in parte 1.3, con un finanziamento stimato in 2,7 miliardi di euro pari al 24% delle risorse dedicate alla componente M4C2 Ricerca, ed allo 1,15% delle risorse totali del Pnrr. Tali dati evidenziano che, ancora una volta, le aspettative di avere investimenti veramente consistenti per la ricerca fondamentale sono stati in parte disattesi. 

Ciò appare ancora più evidente se si analizza la tabella 2 dove vengono caratterizzati gli investimenti per soggetto target e TRL (Technology Readiness Level). I fondi destinati esclusivamente alle Università ed agli Enti Pubblici di Ricerca per la ricerca di base ammontano a 2,3 miliardi di euro confermando la scelta nella stesura del Pnrr di privilegiare le attività di ricerca applicata e i potenziamenti infrastrutturali. Se da un lato il sistema della ricerca Italiano soffre della capacità di generare brevetti e, quindi, dei conseguenti benefici economici (si consideri che ad esempio la Germania deposita circa il quintuplo dei brevetti Italiani in Europa) probabilmente la strategia più efficace è quella del potenziamento degli investimenti nella ricerca di base. L’auspicio è, dunque, che nelle pieghe del Pnrr si possa trovare ulteriore spazio per promuovere attività di ricerca fondamentale magari orientando in questa direzione alcune delle attività svolte in cooperazione con il mondo delle imprese.

Giuseppe De Pietro è direttore Icar Cnr