Dal patto per distribuire gli otto miliardi di riduzione delle tasse alle turbolenze sui mercati causa variante Sud Africana. Dalla preoccupazione per il futuro delle Tlc e il destino di Tim alle vertenze che mettono a rischio occupazione. Dall’aumento dei contagi al via libera dell’Ema al vaccino per i bambini e le bambine. Una lettura dei quotidiani niente affatto rasserenante.

Prime pagine
L’avvio della riforma fiscale e l’accordo tra partiti sulla distribuzione degli 8 miliardi di sconti e la pandemia sono i temi che tengono banco sulle prime pagine di oggi. Per Il Sole 24 Ore: “Nuova Irpef, risparmi fino al 7,5%”. Per La Repubblica “Giù l’Irpef risparmi fino a mille euro, e il sommario recita: “Intesa politica sulle tasse, ridotte le aliquote. Via Irap per un milione di piccole imprese. No di Confindustria e sindacati: Draghi ci convochi”. Il Messaggero è netto: “Tasse, c’è l’intesa: ecco i tagli”. Mentre La Stampa recita: “Giù le tasse al ceto medio, l’Irpef cala di sette miliardi”. Infine Il Manifesto, su foto notizia del presidente Draghi e del ministro Franco il titolo recita: “Me ne infisco” e la spiegazione: “Accordo politico sulla riforma fiscale. Le aliquote passano da 5 a 4. Premiato il ceto medio alto. Restano a bocca asciutta le fasce più povere della popolazione. I partiti di maggioranza applaudo, ma le forze sociali si ribellano. La Cgil: L’accordo con noi ancora non c’è”. Cambio argomento nella scelta del Corriere della Sera: “Il vaccino dai 5 anni in su” e Il Fatto Quotidiano è netto: “Governo in ritardo di 4 mesi sui richiami”.

Le interviste
Se i partiti di maggioranza plaudo all’accordo sul fisco, le forze sociali esprimono perplessità, ovviamente da punti di osservazione differenti. “Partiamo da un punto di vista fondamentale, che vale sempre ripetere: senza le imprese non ci sarebbe l’Irpef. Intendo dire che le attività produttive sono la premessa indispensabile che consente di discutere se e quando tagliare le tasse ai lavoratori” A dirlo è Maurizio Casasco a pag.2 del Corriere della Sera, che aggiunge: “Scegliere di destinare solo 1 miliardo al taglio dell’Irap ha poco senso, al punto che a mio avviso è meglio indirizzare tutte le risorse direttamente sulla riduzione delle tasse dei lavoratori. Anziché un miliardo per l’Irap e sette per l’Irpef, che non soddisfa nessuno, trovo molto meglio utilizzare l’intero stanziamento destinandolo ai lavoratori. Questa era una manovra che avrebbe dovuto destinare 4 miliardi alle imprese, un miliardo non serve quasi a nulla”.

Su Il Messaggero il vice ministro allo sviluppo economico Gilberto Pichetto sostiene che l’accordo è solo un primo passo: “L’Irap viene eliminata per tutte le persone fisiche. Dentro ci sono tutte le ditte individuali e il lavoro autonomo. Inoltre c’è anche una misura a favore dei giovani. L’imposta sarà eliminata anche per le start up che, ricordo, sono formate in prevalenza da trentacinquenni. Parliamo in tutto di più di un milione di persone”. E aggiunge l’esponente di governo: “Sull’Irpef porteremo le aliquote a tre. L’Irap andrà eliminata per tutti, seguendo la strada indicata dalla delega. Poi servirà un sicuramente riordino delle imposte indirette”. Su La Stampa è Alberto Bagnai ad affermare che si è “raggiunto un buon risultato. Per le partite Iva fatto solo il primo passo, la nostra battaglia sulla flat tax continua”.

Fuori dal coro il commento di Enrico Zanetti, ex sottosegretario e poi viceministro dell’Economia nei governi della passata legislatura, intervistato da Avvenire: “È stato scelto un sistema che costituisce la mediazione tra l’aspirazione – quella sì giusta – a concentrare i risparmi sui redditi del ceto medio e la meno giusta incapacità della politica di resistere alla tentazione di disperdere le poche risorse in contenitori molto più grandi che determinano risparmi ridotti” Rispondendo ad una domanda, Zanetti illustra: “Si è voluto sostanzialmente toccare anche l’aliquota del 27%, riducendola al 25, e in questo modo si è potuto fare poco sull’aliquota del 38. Si è mantenuto quasi inalterato lo scalone fiscale che prima era tra il 27 e il 38 e ora è tra il 25 e il 35, e a quel punto si è dovuta applicare l’aliquota del 43 già a partire da 50 mila euro, mentre oggi questa quota base parte da 75 mila euro”. Sulla riduzione alle imprese l’ex vice ministro afferma: “Io sono sempre a favore delle imprese, ma sull’Irap Confindustria deve smetterla di lamentarsi. Nel 2015 l’Irap è stata ridotta di 9 miliardi, lo so perché c’ero e lo abbiamo fatto. Sono il primo a pensare che è giusto ridurla ma se c’è un’imposta che è stata ridotta in questi anni è quella. Adesso vediamo di ridurre un po’ l’Irpef sui redditi delle persone fisiche”.

Da segnalare una conversazione con Romano Prodi pubblicata da La Stampa che riflette sull’accordo siglato tra Italia e Francia e non solo: “Il sovranismo dei francesi frena l’Europa. Pd troppo piccolo per dare le carte sul Colle”. E una, pubblicata da Il Manifesto con la vice presidente della regione Emilia Romagna Elly Schlein: “La lotta alla Saga Coffee deve riguardare tutti”. Infine, Il Fatto Quotidiano torna a parlare di Reddito di Cittadinanza dando voce alla sociologa Chiara Saraceno, presidente del Comitato del ministero del Lavoro sul Rdc, che afferma: “Snobbate le nostre proposte, in manovra scelte punitive”.

Editoriali e commenti
Scrive Francesco Manacorda a pag. 39 de La Repubblica: “Il primo annuncio di un accordo sulla riforma fiscale fatto ieri dai partiti della maggioranza che si sono riuniti al tavolo del ministero dell'Economia suona come una mezza rivoluzione: si passa da cinque a quattro aliquote, sparisce quella del 41% e quella del 38 si riduce al 35%, con l'intento di alleggerire il peso fiscale sui redditi medi. È una decisione positiva, ma è bene chiarire subito che un giudizio definitivo sarà possibile solo se e quando saranno risolte almeno due diverse incognite. È positivo, innanzitutto, che da una maggioranza così composita emerga un orientamento tutto sommato chiaro: il grosso delle risorse - sette miliardi di euro sugli otto disponibili - viene indirizzato a una politica di riduzione dell'imposta sulle persone fisiche, privilegiando in particolare i redditi medio-bassi, e lasciando solo un miliardo al calo dell'Irap.

Da questo punto di vista governo e maggioranza hanno fatto una scelta netta. Ovvio che la Confindustria adesso tuoni, affermando che quei soldi sarebbero stati meglio impiegati proprio per ridurre in modo più sensibile l'Irap e che le nuove aliquote si tradurranno in molti casi in pochi spiccioli guadagnati dal contribuente; meno ovvio che da parte dei sindacati arrivino critiche speculari a quelle degli industriali, accusando il governo di non aver fatto abbastanza per i redditi. Gli appelli sindacali sembrano in verità più un riflesso pavloviano di chi esige di essere chiamata al tavolo negoziale che non una reale contestazione sul merito, visto che un risultato di 7 miliardi a 1 appare già una soddisfacente goleada nella partita degli interessi contrapposti”…..

Meno trionfalistica di Manacorda è l’analisi che Stefano Lepri firma a pag. 29 de La Stampa: “Si può distribuirlo meglio, il peso del fisco, per non scoraggiare chi lavora e chi produce. Una delle opzioni valide era questa, rimettere a posto la curva che fa salire il prelievo al crescere dei redditi della fascia media e medio alta……. Invece, una profonda riforma del fisco ancora non si delinea. Ai lavoratori, e anche alle imprese, si potrebbe dare di più se si avesse il coraggio di tassare almeno un poco i patrimoni, con alcune misure che in Italia paiono da estremisti ma che vigono nella gran parte dei paesi democratici. Per contenere le spese occorrerebbe poi che gli enti locali fossero responsabilizzati con entrate proprie, in modo da lasciar decidere ai cittadini con il voto se vogliono meno tasse, ma a fronte di meno servizi, oppure più servizi ma anche meno tasse. Gli sgravi all’Irap – tributo destinato a finanziare le Regioni per la Sanità – seppur graditi ai beneficiari non vanno in questa direzione”.

Apparentemente Alberto Mingardi sul Corriere della Sera parla d’altro, nel suo commento si interroga sul ruolo dello Stato e sull’aumento della spesa pubblica che è schizzata nei mesi della pandemia. Se, da un lato il pensiero sotteso è che occorre ridurla e ritrarre il perimetro dell’intervento statale, dall’altro la questione è che le risorse pubbliche dipendono dalle entrate fiscali. La chiusura del pezzo non è affatto rassicurante: “Per avere uno Stato leggero (e chi ha detto che occorre alleggerirlo? N.d.r.) serve una società pesante: una società fatta di persone che abbiano voglia di essere autonome, artefici del proprio destino; e che, se necessario, siano capaci di prendersi cura di chi sta peggio. Cosa che il nostro Stato tentacolare spesso non sa fare. come testimoniano le sempre nuove richieste di intervento e aiuto, a loro modo rivelatrici dell’incapacità di sintonizzare la spesa sui bisogni. Il nostro è sempre più uno statalismo inerziale: non rivela un Paese solidale, ma la nostra pigrizia intellettuale e l’atrofizzazione dei corpi intermedi.

Economia lavoro e sindacato
Ma cosa c’è nell’accordo sulla distribuzione degli 8 miliardi destinati alla riduzione delle tasse? Scrive Andrea Colombo su Il Manifesto: “Piace ai partiti, spiace alle parti sociali, che fanno diluviare critiche, opposte tra loro, sull’accordo politico raggiunto ieri al Mef sulla riforma fiscale. Ora la parola passa a Palazzo Chigi, che ha già convocato i capigruppo di maggioranza per la settimana prossima e presumibilmente si deciderà a incontrare anche i sindacati che per ora non hanno visto palla. «L’accordo con noi non è stato trovato. Non siamo stati consultati. Restiamo in attesa», segnala gelido Landini per la Cgil. Altrettanto dura la Cisl: «Qualsiasi impostazione releghi i sindacati in ruolo consultivo è irricevibile».

La riforma fiscale è in realtà poco incisiva, e non poteva essere diversamente dato l’investimento esiguo: 8 miliardi, uno, al posto dei due previsti, per il taglio dell’Irap, 7 per l’Irpef. È una riforma che premia i ceti medio-alti, con reddito intorno ai 50 mila euro annui ma ignora la fascia più bassa e concede le briciole a quella medio-bassa. È infine una riforma sulla quale grava un’incognita determinate: del previsto riordino delle detrazioni, che hanno un peso enorme sulla fiscalità complessiva, si sa pochissimo. Di certo il nuovo sistema riassorbirà, eliminandolo, il bonus di Renzi, i famosi 80 euro passati poi a 100. La riforma porta le aliquote dalle 5 attuali a 4, eliminando quella del 41% per lo scaglione tra i 55 mila e i 75 mila euro di reddito: dai 50 mila in su l’aliquota sarà per tutti del 43%. Resta intatta l’aliquota più bassa, quella del 23% per chi guadagna fino a 15 mila euro. Si tratta di 30 milioni di contribuenti per i quali non cambia niente. Il ragionamento che ha portato a questa scelta non è privo di fondamento: i più poveri sono talmente tanti che sollevarli sarebbe stato costosissimo in cambio di un incremento della busta paga invisibile anche col microscopio. Comprensibile, ma resta il fatto che chi più avrebbe bisogno di un vero effetto redistributivo è stato completamente ignorato. I redditi tra i 15 mila e i 28 mila vedono l’aliquota scendere dal 27 al 25% e anche in questo caso i vantaggi saranno insignificanti, nell’ordine di circa 21 euro al mese. Tre punti percentuali in meno, dal 38 al 35% per lo scaglione tra i 28mila e i 50mila euro che, soprattutto intorno alla punta alta, arriverà a risparmi tripli rispetto all’area interessata dall’aliquota precedente. «Alcune fasce di questo scaglione potranno risparmiare sino a 700 euro l’anno», si congratula il responsabile economico del Pd Misiani... A guastare la festa della maggioranza sono le parti sociali, il cui verdetto è invece il pollice verso. «Sono scelte che suscitano forte perplessità perché senza visione per il futuro dell’economia del paese», attacca Confindustria che avrebbe voluto il taglio concentrato sulle imprese. Altrettanto insoddisfatta, per motivi opposti, la Cgil: «Gli 8 miliardi dovrebbero andare tutti a lavoratori dipendenti e pensionati, inoltre ribadiamo la nostra contrarietà alla riduzione dell’Irap». La riforma, senza fondi a disposizione, non poteva che avere un valore indicativo, prospettando e scegliendo un orizzonte. Il governo decisionista di Draghi ha scelto di non scegliere”.

E Flavio Bini su La Repubblica: “Un accordo che incontra la ferma opposizione di Confindustria. "Se la bozza d'intesa tra partiti di maggioranza in materia fiscale dovesse essere confermata, saremmo in presenza di scelte che suscitano forte perplessità perché senza visione per il futuro dell'economia del nostro Paese", avverte Confindustria, che ribadisce la richiesta di aprire un confronto: "Vogliamo sperare che il Mef e il Governo tutto si renda conto di quanto sta accadendo e convochi al più presto congiuntamente le parti sociali, così come più volte richiesto". Più prudente il segretario della Cgil Maurizio Landini:  "L'accordo con noi non è ancora stato trovato. Noi siamo in attesa di una convocazione. Come è noto noi pensiamo che gli 8 miliardi dovrebbero andare tutti ai lavoratori dipendenti e pensionati e non è il momento, questo, momento dell'Irap", ha detto. "Bisogna capire a modo come viene fatto, perché dobbiamo tutelare a partire dai salari più bassi - ha aggiunto il leader Cgil. "Quindi c'è il problema di capire bene come sarà fatta sostanzialmente questa riforma". In ogni caso, ricorda il segretario della Cgil, "siamo in attesa rispetto all'impegno che il governo si era preso con noi di essere convocati per discutere del fisco, delle pensioni e di alcuni temi che riguardano la legge di bilancio. Vedremo nei prossimi giorni cosa succede".

Se il tema fiscale occupa parte rilevante delle pagine dei quotidiani oggi in edicola, anche alche questioni di economia vi trovano spazio. Tim è tra queste. Scrive Aldo Fontanarossa su La Repubblica: "Al fine di favorire il processo decisionale da parte del consiglio di amministrazione, metto a disposizione del cda le deleghe che mi avete conferito, per vostra opportuna valutazione. Se questo passaggio consentirà una più serena e rapida valutazione della non binding offer - dell'offerta non vincolante - di Kkr, sarò contento che sia avvenuto". Così Luigi Gubitosi, amministratore delegato di Tim in una lettera indirizzata al board, di cui scrive l'agenzia Ansa

 Alla vigilia del cda straordinario Luigi Gubitosi scrive ai consiglieri. "Non posso tacere lo stupore generato da alcune posizioni assunte; mi permetto, quindi, di riassumere il mio pensiero", scrive in una lunga, ma lucida lettera in cui ricorda che l'ultima parola sull'offerta spetta ai soci…… Così nasce il passo indietro di Gubitosi: "Il nostro dovere è quello di tutelare gli interessi di tutti i nostri stakeholders, in particolare il mercato, di non privilegiare posizioni individuali e di agire nel rispetto rigoroso delle regole con rapidità per tutelare la stabilità della nostra società". E di Tim si occupa anche Il Sole 24 Ora ma da un altro punto di vista: “L’occupazione, prima tra le priorità menzionate dal premier Draghi, sale rapidamente le scale delle urgenze nella contesa su Tim. Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, si appresta a convocare un tavolo con i sindacati. Non c’è ancora una comunicazione ufficiale né una data ma è presumibile che si entri nel vivo dopo che la posizione di Tim sull’offerta del fondo americano Kkr sarà più chiara con il consiglio di amministrazione per programma per oggi”. E prosegue l’articolo: “Il Governo e l’azienda devono avere come priorità la tutela degli oltre 40mila occupati del Gruppo Tim e del significativo indotto è la posizione di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil che paventano il rischio di esuberi nel caso di uno spacchettamento. I sindacati avevano già chiesto, prima che emergesse la proposta di Kkr, un incontro urgente al ministro dello sviluppo Giancarlo Giorgetti sulla crisi complessiva del settore paralizzato da margini delle aziende in calo, dumping sociale che si scarica sugli occupati e dalla lunga attesa dei nuovi incentivi alla banda ultralarga bloccati da quasi un anno e mezzo”.

Notizie in arrivo da Bruxelles, primo si al salario minimo da parlamento europeo. Ne scrivono Roberto Ciccarelli su Il Manifesto, il Fatto Quotidiano e Sofia Cherici su Collettiva.it: Salari minimi, dal Parlamento europeo un passo importante Dal fronte vertenze: Maurizio Landini ieri era in Emilia Romagna al presidio Saga Coffe. Ne scrivono, tra gli altri, La Repubblica di Bologna e Collettiva.it Inaccettabili le aziende che prima prendono i soldi e poi scappano

E poi la Whirlpool, scrive Massimo Franchi su Il Manifesto: “La lotta dei lavoratori Whirlpool Napoli va avanti e dopo due giorni e una notte registra una piccola vittoria. A sera i sindacalisti che da giovedì pomeriggio occupavano il ministero dello Sviluppo sono scesi e hanno comunicato ai lavoratori l’esito degli incontri. «Siamo riusciti ad ottenere qualcosa che il governo doveva fare già due mesi fa: un impegno formale di Whirlpool a cedere al “consorzio” la fabbrica di via Argine a “condizioni di favore dopo 40 giorni di valutazione obiettiva del valore” e poi aprire subito la due diligence», annuncia dentro la stazione Barberini per ripararsi dalla pioggia la segretaria nazionale Barbara Tibaldi. Giovedì proprio su questo punto – l’ostracismo di Whirlpool a vendere lo stabilimento per speculare sulla cifra – era saltato il tavolo e si era arrivati all’occupazione del Mise. L’altra ragione era l’assenza del governo che continuava a non dare garanzie sui tempi della reindustrializzazione da parte del “consorzio” e a non mantenere la promessa di evitare per i lavoratori il passaggio in Naspi prima di una – eventuale – riassunzione. Sulla pelle dei 350 operai – in lotta da 909 giorni – si sta infatti giocando un vergognoso scaricabarile politico. Nel lungo elenco dei responsabili al primo posto c’è certamente il ministro Giancarlo Giorgetti, colui che nelle ore che portarono al licenziamento da parte di Whirlpool era a Varese a chiudere la campagna elettorale per il sindaco leghista (poi sconfitto). La richiesta della presenza di Giorgetti da parte dei sindacati viene disattesa da ormai tre incontri al Mise.
Allo stesso modo però giovedì mancava anche la viceministra del M5s Alessandra Todde, colei che si era più spesa e che ha rivendicato la nascita del «consorzio» per «un hub della mobilità sostenibile». Ieri è tornata e ha sancito l’accordo tra consorzio e Whirlpool e si è impegnata «a ridurre i tempi» del passaggio. Lavoratori e sindacati poi imputano anche al ministro del Lavoro Andrea Orlando la mancata promessa di «uno strumento per far transitare i lavoratori nel consorzio senza passare dalla Naspi e dalla riassunzione».

Dal ministero del Lavoro riconoscono «di non essere riusciti a mantenere l’impegno», ma attaccano i dirimpettai del Mise: «C’è imbarazzo nel vedere convocare tavoli senza fare passi avanti. Noi – continuano le fonti del ministero del Lavoro – abbiamo pronto lo strumento per traghettare i lavoratori nel consorzio: è la “ricollocazione collettiva”, uno dei cinque percorsi previsti del nuovo ammortizzatore della Gol (Garanzia occupabilità lavoratori) con presa in carico finalizzata alla riassunzione, una politica attiva per preparare gli operai alle nuove mansioni che prevederebbe anche un’integrazione al reddito maggiore della cassa integrazione. Il problema è che il consorzio non si è ancora formalizzato e dunque manca il soggetto giuridico che possa richiedere questo ammortizzatore sociale che garantirebbe la continuità occupazionale ai lavoratori licenziati dalla Whirlpool». In pratica la promessa si è rivelata una vana speranza. Ora si spera che il passaggio in Naspi – che, visto il preavviso di Whirlpool sul licenziamento, partirà a 30 giorni dalle lettere e dunque dal 3 dicembre – sia il più breve possibile. Il consorzio attende l’acquisizione del terreno e dunque i 40 giorni da oggi. La promessa è poi di costituire un “consorzio” parallelo all’attuale Sviluppo Campania con già sette aziende presenti compresa Adler che produrrà sedili per bus, batterie e panelli solari flessibili garantendo entro un anno di mettere in produzione tutti gli attuali 320 operai ex Whirlpool rimasti. Un numero che potrebbe diminuire a causa dell’offerta della multinazionale americana con una buonauscita aumentata in cambio della rinuncia a impugnare i licenziamenti in tribunale. Ma di tutto questo i lavoratori di via Argine discuteranno oggi e lunedì in assemblea”.

E poi il fronte caldo, caldissimo del Covid. “Il Covid torna a portare tempesta sui mercati. La Borsa di Tokyo scivola sotto il 3%, toccando i minimi da un mese, sui timori legati alla scoperta della nuova variante di coronavirus, annunciata dalle autorità sanitarie del Sudafrica come particolarmente contagiosa e capace di decine di mutazioni. L'indice Nikkei 225 cede il 3,02%, a 28.607,98 punti, mentre il Topix scende del 2,41% a 1.976,92 punti. Segnali di allarme arrivano anche dai futures sulla piazza di New York, in caduta di un punto su tutti i principali indici” Scrive Elena Dui su La RepubblicaSempre sullo stesso quotidiano Fabio Tonacci scrive: “La coperta del Viminale è corta. La direttiva del premier Draghi di aumentare dal 6 dicembre i controlli sul Green Pass, sia quello ordinario sia quello rilasciato solo ai vaccinati e ai guariti dal Covid, spiazza il ministero dell'Interno, che già adesso fa i conti con carenze nell'organico nella Polizia e un monte ore di straordinario ancora da pagare. "Faremo il possibile", "ci attrezzeremo", "garantiremo tutti i servizi" vanno ripetendo in queste ore al dicastero guidato da Luciana Lamorgese, dove tra le ipotesi allo studio per salvare il Natale ci sono l'utilizzo dell'esercito e l'allungamento dei turni del personale in strada. Ma l'aver inserito autobus e metropolitane nella lista degli accertamenti di cui si dovranno occupare poliziotti, carabinieri, finanzieri e vigili urbani preoccupa chi, contestualmente, è chiamato a garantire la sicurezza e l'ordine pubblico”.

Il titolo del pezzo di Francesco Grignetti su La Stampa non è certo rassicurante: “Contagi su, 18 province a forte rischio, è allarga in Europa per la variante Africana”. Lo scritto è ricco di numero, dai contagi ai vaccinati, dalla saturazione di terapie intensi e reparti ordinari, quel che emerge è la costante curva in salita dei nuovi positivi al virus e di quelli ammalati: “I numeri in effetti sono impietosi – scrive Grignetti -. L’incidenza della pandemia inizia a raggiungere livelli preoccupanti in 18 province, quelle che registrano più di 150 casi su 100mila abitanti”. Ma una notizia arriva dal fronte vaccini: la scrive – tra gli altri – Elena Dusi su La Repubblica: “L'Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha approvato il vaccino di Pfizer per i bambini tra 5 e 11 anni. La dose sarà ridotta a un terzo rispetto a quella degli adulti: 10 microgrammi anziché 30. Servirà un richiamo dopo 3 settimane. In Italia i bambini in questa fascia d'età sono circa 4 milioni. I prossimi passaggi sono l'approvazione da parte della Commissione Europea, previsto per venerdì, e quello dell'Agenzia Italiana del Farmaco. L'Aifa ha fatto sapere che si riunirà da mercoledì 1° dicembre al 3 dicembre per discutere del vaccino per i bambini”. E Milena Gabanelli e Simona Ravizza, sul Corriere della Sera pubblicano una “edizione speciale” del Dataroom dedicata ai quesiti e alle risposte sui benefici del siero per i piccoli: “I dati disponibili mostrano che i benefici compensano i rischi: dall’inizio dell’epidemia 6 su mille positivi sono finiti in ospedale e 4 su centomila sono morti”. Sullo stesso quotidiano il responsabile dell’Aifa, Giorgio Palù, dice: “Proteggere i piccoli dal Covid. Ora è una malattia pediatrica, a quella età è diventata tra le prime cause di morte. Immunizzare chi va a scuola dà libertà e limita fortemente la diffusione”. E il pediatra ed epidemiologo Giorgio Tamburlini, su La Stampa, afferma: “Farmaco sicuro e tollerato, il siero è efficace nei più piccoli e riduce il rischio di complicanze gravi. Ora bisogna convincere i genitori con informazioni e dialogo”.

Rider = worker è titolo dell’apertura di Collettiva.it di Patrizia Pallara: Rientrano nella categoria di lavoratori con pieni diritti sindacali e tutela del posto. Lo prevede il tribunale di Firenze, secondo cui i licenziamenti collettivi fatti da Deliveroo sono inefficaci e il contratto Ugl non è applicabile. Una vittoria storica per i ciclofattorini, la Cgil e le categorie Filcams, Nidil e Filt

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