C’è voluto un tempo imprecisato di rovinose cadute, scissioni da teatro amatoriale e segretari con il carisma di un citofono guasto, ma alla fine il centrosinistra ha visto la luce: presentarsi uniti funziona. Genova e Ravenna vinte al primo turno, Taranto e Matera promettenti in vista del ballottaggio. E pensare che per anni si era dato per scontato il contrario: troppo frammentati, eternamente polemici, geneticamente portati all’autodistruzione. Invece no, bastava smettere di pugnalarsi alle spalle prima ancora di definire un programma.

Non c’è stata nessuna resurrezione ideologica, nessuna epifania collettiva. Non è arrivato un Salvatore in felpa rossa. A imporsi è stata una politica sobria, radicata, con candidati solidi e credibili. È bastato rinunciare al circo dei veti reciproci e costruire proposte comprensibili persino da un cittadino medio. L’elettorato, sfinito da litigi cronici e protagonismi da riunione condominiale, ha trovato finalmente un’offerta seria. E ha risposto, con quella lucidità disillusa che oggi vale come entusiasmo.

Dall’altra parte, il centrodestra ha accusato il colpo. Non perché si ritenesse imbattibile, ma perché non contemplava più l’esistenza di un’alternativa concreta. Per anni ha dominato indisturbato, contando sull’autosabotaggio sistematico degli avversari. Quando l’ovvio diventa straordinario, vuol dire che eravamo messi peggio di quanto pensassimo.

Attenzione però, non è tempo per trionfalismi. Ogni contesto ha dinamiche autonome e la sinistra ha la memoria breve quanto un pesce rosso. Il segnale però è chiaro: quando rinuncia all’autolesionismo, può tornare competitiva. Il vero banco di prova sarà ora evitare che, inebriati dal risultato, si ricominci subito a litigare su chi debba prendersi il merito della geniale trovata.

La scoperta è dunque fatta: uniti si vince. Una banalità, certo, come l’acqua calda. Ma a sinistra, anche il termostato è sempre stato oggetto di contesa. Ora si tratta di mantenerla tiepida almeno fino al prossimo turno. Senza farla evaporare.