Mettere un freno alla precarietà. Questo vuole fare il quesito n. 3 dei referendum su lavoro e cittadinanza, che siamo chiamati a votare l’8 e 9 giugno. Una precarietà dilagante e diffusa, dovuta a tante diverse cause e tante diverse norme. Smontare questa, disinnescare questa in particolare, può fare la differenza.

Scheda grigia

La scheda è grigia e ha per titolo: “Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi”. Il quesito recita: “Volete voi che sia abrogato il d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81… limitatamente alle seguenti parti” e così via?

Come per gli altri quesiti, la domanda è semplice: vogliamo noi elettori reintrodurre l’obbligo (che era stato eliminato) per i datori di lavoro di indicare una giustificazione quando assumono con contratti a tempo determinato inferiori a 12 mesi?

Cioè se il datore assume un lavoratore per meno di un anno, ci deve essere un motivo, la cosiddetta causale, e deve indicarlo, altrimenti non lo può fare. Questa causale deve essere contemplata nei contratti collettivi nazionali maggiormente rappresentativi. Inoltre, il quesito vuole cancellare anche la possibilità che il datore e il lavoratore si mettano d’accordo sul contratto a termine, individuando una causale a loro totale discrezione.

La precarietà non si elimina con i referendum

E perché no? Chi l’ha detto? Lo sostengono al solito i detrattori che mischiano le carte e confondono le acque, chi vuole che la norma non sia abrogata, chi pensa che la precarietà vada bene (ovviamente sulla pelle dei lavoratori), chi dice che cambiare non è vantaggioso (ma lo è per le aziende).

Invece è falso. Cancellare quella parte della legge ridurrà la precarietà. Certo non la eliminerà, ma potrà limitarla. Se diventa obbligatorio indicare una causale quando si stipula un contratto di meno di 12 mesi, cioè se si deve mettere per iscritto perché si assume per meno di un anno una persona legando questo perché alla casistica prevista dai contratti collettivi, si circoscrive molto il ricorso ai rapporti di breve e di brevissima durata.

Ci saranno minori opportunità d’impiego per i giovani

È pura propaganda. È proprio con il miraggio delle opportunità e con l’illusione di creare più posti di lavoro che la precarietà è stata sdoganata, trasformata in normalità. Ma numerosi studi e ricerche hanno dimostrato che in Italia non è andata così: a maggiore flessibilità dei lavoratori non è corrisposta maggiore occupazione.

Al contrario, cancellare quegli articoli di legge eviterà l’abuso dei contratti a termine senza motivazione, proteggerà i lavoratori dal rischio di precarietà continua, rafforzerà il principio che il contratto standard deve essere a tempo indeterminato.

Il vero problema è l’abuso dei contratti brevissimi

È vero, il problema è l’abuso dei contratti brevissimi. Ma se vincono i sì al referendum si abbatte quell’abuso. Se vincono i sì non si potranno più fare contratti da un giorno, che sono più frequenti di quanto si immagini, non si potrà più prendere un lavoratore per dieci volte con contratti da un mese ciascuno.

Se vincono i sì, non ci potrà più essere il turn over selvaggio di lavoratori: tre mesi uno, poi a casa, tre mesi un altro, a casa anche lui, e così via. Se vincono i sì potranno essere attivati contratti di durata inferiore ai dodici mesi per due motivi principali, previsti dai ccnl: picchi di produzione oppure attività non comprese nel normale ciclo industriale. E quelle causali potranno essere verificate dal giudice.

Meglio affidare le causali alla sola contrattazione

Le causali sono già adesso affidate alla contrattazione collettiva. L’obiettivo che vuole raggiungere il referendum è fare in modo che le causali per cui si fa il contratto a termine siano obbligatorie nei rapporti brevi e brevissimi. Niente scuse: se vuoi prendere un lavoratore per poco tempo, lo devi fare per esigenze previste dalla contrattazione collettiva, quindi contemplate e sottoscritte anche dai rappresentanti dei lavoratori.