Salvini si traveste da bagnino, ma invece di salvare vite salva concessioni. Col suo solito sorriso da cabina elettorale, piazza l’ennesimo ombrellone sulla spiaggia delle furbate. Il decreto balneare è un capolavoro di rendita garantita: canoni ridotti, gare pubbliche rinviate a un futuro mitologico, risarcimenti anche per chi ha comprato due racchettoni e un frigo da campeggio. È il bagnasciuga sovranista: pubblico nei costi, privato nei profitti.

La premier Meloni, che giurava “il mare non è una risorsa scarsa”, ora lo tratta come merce da sbarco. I litorali diventano saldi di fine stagione, concessi agli amici con lo scontrino in bianco. E se l’Europa minaccia sanzioni Palazzo Chigi risponde con un decreto “sole, cuore e tarallucci”, perché disturbare la lobby più abbronzata del Paese è peccato mortale.

Chi va al mare, intanto, paga trenta euro per una sdraio sfondata e un mojito in bicchiere di plastica, decorato con mezza foglia di menta e il sapore dell’umiliazione. La concorrenza resta un miraggio estivo: le gare slittano a quando i gabbiani voteranno e le meduse faranno i bonifici.

I soliti noti si tengono strette le concessioni come eredità divine, spalleggiati da ricorsi, proroghe e pareri cucinati al sole. Chi prova a mettere ordine viene travolto dal Tar. La sabbia diventa zona rossa appena si parla di regole: intoccabile, inespugnabile, inviolabile. Due metri quadri d’ombra costano più di una giornata di lavoro, ma chiamarla rendita è lesa maestà.

E così il baywatch padano si tuffa nell’ennesimo spot: pancia in dentro, decreto in mano, slogan a mollo. Pronto a lanciare il salvagente solo agli amici, quelli col gommone in leasing. Il ministro in costume, i cittadini in mutande.