Povera Meloni, costretta a difendere i milionari dal terrore di una patrimoniale che non vedranno mai. Li immagina rannicchiati nei loro attici, a contare le bottiglie di Dom Pérignon sopravvissute all’inflazione. E allora giura al popolo – quello vero, quello che paga – che mai li toccherà. Promessa d’amore fiscale, sigillata con champagne e hashtag patriottici. Il nuovo vangelo della destra del benessere: “Beati i ricchi, perché di loro sarà il paradiso esentasse”.

Intanto lo Stato si rifà sui soliti noti. Operai, precari, ceto medio che non hanno tempo per investire perché devono sopravvivere. Tassati sul pane, sul pieno, sul respiro. E quando chiedono giustizia, gli spiegano che la redistribuzione è comunismo, parola da estirpare come un’erbaccia nel prato del capitale. Così la povertà diventa colpa e la ricchezza una benedizione.

È la nuova frontiera della destra sociale: un Robin Hood al contrario con la pistola del fisco puntata verso il basso. Si toglie a chi lavora per salvare chi incassa. Si celebrano gli “imprenditori di sé stessi”, categoria che comprende chi eredita dieci case e chi ha un conto a Montecarlo. I paperoni non si tassano, si venerano. Poveri, già tanto stressati da un Paese che osa ancora lamentarsi.

Ogni condono è un abbraccio, ogni taglio alla sanità un regalo di Natale per chi ha il privato in tasca. Le scuole cadono, ma i capitali reggono. I mutui strangolano, ma le rendite galleggiano serene. L’Italia diventa un santuario fiscale con la cassetta delle offerte obbligatoria per chi lavora.

E Meloni, dal pulpito dei social, sorride ai suoi beneficiati. Dice che non ci sarà mai una patrimoniale. Giusto, la patrimoniale c’è già, ma al contrario. È nelle bollette, nei supermercati, nelle trattenute. I poveri finanziano i ricchi, mentre i ricchi restano lì, praticamente in mutande di seta a scegliere se piangere a Saint-Tropez o a Cortina.