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Parte lunedì 10 a Belém, in Brasile, la 30ª conferenza Onu sui cambiamenti climatici, nella ricorrenza del decimo anniversario dall’Accordo di Parigi. Il trattato del 2015 sanciva l’impegno, per adesso ampiamente disatteso, di mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C e di proseguire l’azione per restare entro a 1,5°C di incremento, riconoscendo che ciò potrebbe ridurre in modo significativo i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici.
La conferenza si colloca in un drammatico momento storico, con una grave crisi del multilateralismo, del diritto internazionale e della democrazia, con un sistema economico ancora basato sulle fonti fossili, sullo sfruttamento della natura e delle persone, sul colonialismo e il suprematismo che genera e alimenta disuguaglianze, discriminazioni, devastazione ambientale, crisi climatica e guerre.
Scenario complesso
Lo scenario geopolitico non è positivo per il buon esito dei negoziati. Non aiutano il negazionismo climatico di Trump, le dispute commerciali con la Cina, l’accordo sui dazi con l’Europa che prevede importazioni di Gnl per 750 miliardi, non aiuta l’impegno poco ambizioso annunciato dalla Cina per ridurre le emissioni del 7-10 per cento entro il 2035 e tantomeno l’indecisione e le divisioni all’interno dell’Ue.
Europa, accordo al ribasso
Il consiglio dei ministri dell’Ambiente del 4 novembre scorso ha confermato l’obiettivo di ridurre le emissioni del 90 per cento al 2040, ma ha introdotto una serie di condizioni, fra cui la neutralità tecnologica, per farne fallire il raggiungimento, e un obiettivo di riduzione delle emissioni al 2035 da presentare alla Cop30 fra il 66,25 e il 72,5 per cento che lascia aperta la possibilità di attestarsi sull’obiettivo minimo.
Queste decisioni spazzano via di fatto le politiche del Green Deal, a partire dalla legge per il clima, cedendo alle rivendicazioni dei governi negazionisti come l’Italia, e lasciando spazio libera alla corsa al riarmo e per un’economia di guerra.
Il Brasile? Rema contro
Anche la presidenza brasiliana non fa ben sperare. Nell’evento di ottobre della pre-Cop a Brasilia il governo ospitante ha lanciato l’iniziativa Belém Committment for Sustainable Fuels “Belém 4x” che prevede l’obiettivo globale di quadruplicare la produzione e l’utilizzo di carburanti sostenibili entro il 2035, un’iniziativa che potrebbe avere conseguenze negative per l’ambiente e per il clima.
L’Italia ovviamente sostiene l’iniziativa che converge con la battaglia del governo, a livello europeo, per superare lo stop al motore endotermico al 2035 e promuovere la neutralità tecnologica. Altro passo falso di Lula, essersi impegnato per autorizzare nuove estrazioni petrolifere nel bacino di Foz do Amazonas. Una decisione contestata da gruppi ambientalisti e popolazioni indigene per l’impatto su una delle aree ecologicamente più importanti a livello globale, oltre che sulla questione climatica.
Temi impegnativi
In questo contesto, non certo roseo, i temi da affrontare a Belém sono molto impegnativi. Fra i principali: il gap emissivo rispetto all’obiettivo di 1.5°C, l’adattamento e la finanza. Sul gap emissivo, il Production Gap Report pubblicato a ottobre da diversi istituti internazionali di ricerca stima che nel 2030 la produzione globale di combustibili fossili supererà del 120 per cento quella compatibile con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura media entro più 1,5°C a fine secolo.
Sull’adattamento, a fronte di una stima di 365 miliardi di dollari di fabbisogno dei Paesi vulnerabili per effettuare gli interventi di messa in sicurezza rispetto agli effetti del clima che già stanno subendo, è stato attivato un flusso finanziario di soli 26 miliardi.
Gli interrogativi sulla finanza
Il tema della finanza è ancora aperto, dopo il compromesso della Cop29 di Baku che ha stabilito un impegno di attivare almeno 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035, con il piano Raodmap da Baku a Belém di innalzare l’impegno a 1.300 miliardi di dollari all’anno, cifra comunque inferiore alle esigenze reali di mitigazione, adattamento e perdite e danni che alcune stime attestano sui 5 mila miliardi di euro all’anno.
Sembrano cifre impossibili ma non lo sono, basti pensare che ogni anno a livello globale si spendono 2.700 miliardi di euro per la difesa e 7mila miliardi in sussidi alle fonti fossili.
Fallimento mai
Non vogliamo, però, cedere al pessimismo e permettere che la Cop30 di Belém si traduca nell’ennesimo fallimento. Guardiamo con speranza alla forza di un movimento per la giustizia climatica e sociale, di cui la Cgil si considera parte attiva, che sta crescendo a livello globale, tenendo insieme tutte le realtà impegnate nella costruzione di un’alternativa sostenibile, solidale e inclusiva, per una giusta transizione che rappresenta un radicale cambiamento di sistema, in un’ottica intersezionale, in cui la transizione energetica, la questione occupazionale e salariale, la pace, la redistribuzione della ricchezza e delle risorse, il contrasto alle destre estreme e al fascismo sono parte della stessa rivendicazione per un radicale cambiamento di sistema.
Il meccanismo d’azione
La rivendicazione di un meccanismo d’azione di Belém (Bam) per l'attuazione della transizione giusta, parte da questa visione e tiene insieme lavoratori, comunità, popolazioni indigene e afro discendenti, movimenti femministi, giovanili, sociali e ambientalisti nella richiesta di un nuovo meccanismo multilaterale di orientamento dell'intero sistema internazionale verso transizioni incentrate sulle persone a livello locale e nazionale, in cui lavoratori e comunità siano responsabili delle decisioni che incidono sulle loro vite e sui loro mezzi di sussistenza.
Fondato sui principi di equità e sulle responsabilità comuni ma differenziate e rispettive capacità, il meccanismo ha l’obiettivo di porre diritti, equità, supporto e inclusione al centro della cooperazione climatica.
Iniziative a Belém e in Italia
La Cgil sarà presente anche quest’anno alla conferenza sul clima, partecipando ai negoziati in qualità di osservatore nella delegazione della Csi, confederazione sindacale internazionale, e ha aderito e parteciperà alla Cupola dos povos che negli stessi giorni a Belém organizza il summit dei popoli, per discutere proposte concrete di soluzioni alle sfide globali, e il 15 novembre una marcia a Belém nella giornata mondiale di azione per la giustizia climatica. A livello internazionale, inoltre, venerdì 14 novembre è la data dello sciopero globale per il clima, organizzato dal movimento dei Fridays For Future per rivendicare una giusta transizione subito.
Le due date di mobilitazione per la giustizia climatica e la giusta transizione vedranno protagonista anche la Cgil a livello territoriale e nazionale. Il 14 novembre ci saranno iniziative organizzate dai coordinamenti locali dei Fridays, che il sindacato come sempre sostiene, e il 15 novembre a Roma una marcia organizzata dal Climate Pride, un’alleanza per la giustizia ambientale, climatica e sociale, fra realtà, associazioni, sindacati e movimenti, a cui abbiamo aderito fin dalla sua nascita, l’anno scorso.
Simona Fabiani è responsabile politiche per il clima, il territorio, l’ambiente e la giusta transizione della Cgil






















