Che fine hanno fatto gli sbarchi? Spariti. Evaporati. Cancellati a colpi di conferenza stampa e titoli strategici. Inghiottiti dalla nebbia mediatica, come i voli di Stato verso Tripoli. Accendi un telegiornale, sfogli due pagine, ascolti un ministro: mare calmo, porti deserti, scafisti in pensione. C’è persino chi racconta di un Paese che accoglie solo lavoratori modello, appena usciti da un decreto flussi col bollino “friendly”.

Peccato che ci sia un fastidioso documento chiamato “cruscotto statistico”. Non è un gadget della Ferrari, ma un pdf del Viminale che gira con la discrezione di un promemoria scomodo. Nascosto meglio di una nota spese, racconta che nei primi sei mesi del 2025 sono sbarcate 30.269 persone. Meno del 2023, vero, ma più del 2024. Un bel +15,5%, per chi ama i dati veri più delle finzioni a reti unificate.

Gli sbarchi, si dice, sono miraggi. Quando si vedono è per colpa di un temporale ideologico, di una ong indemoniata o di un traghetto travestito da barcone. E mentre si racconta la solita novella della “caccia internazionale agli scafisti”, il cast della fiction non si presenta sul set. Zero risultati, ma gran fotografia. Il resto si affoga nella consueta cortina fumogena, prodotta in casa e distribuita gratis.

Nel frattempo, qualcuno ha pensato bene di fare una gita istituzionale a Bengasi. Piantedosi è tornato con la porta in faccia e la diplomazia nella valigia sbagliata. Ricevuto come un postino senza raccomandata, ha scoperto che la Libia non legge i comunicati del Viminale.

Sugli sbarchi il governo fa il morto a galla. I numeri ci sono, ma disturbano il racconto. Meglio ignorarli, infilarli tra le righe o annegarli sotto il peso della retorica. Il cruscotto lampeggia, ma a Palazzo Chigi fissano il cielo, sperando che piova consenso. La realtà non scompare: semplicemente, non conviene.