C’è chi fronteggia le bombe e chi gli scioperi. Nel primo gruppo ci sono sindacati e attivisti, nel secondo la nostra premier, che dall’alto del podio distribuisce pagelle e insulti. “Irresponsabili”, sentenzia con aria da pedagoga inflessibile, bollando chi incrocia le braccia o porta aiuti verso la Palestina. Eppure il paradosso è lì, sfacciato: chi prova a fermare il genocidio diventa minaccia, chi lo copre riceve l’onorificenza dello statista.

Meloni ha deciso di arruolarsi nella “pace” cucinata da Trump e Netanyahu, un patto di cartapesta che sa di resa, non di tregua. Difenderlo significa chiamare stabilità ciò che è occupazione, ordine ciò che è macelleria. E guai a chi svela la farsa. Per il governo, la vera minaccia al mondo non sono i droni, ma i lavoratori che decidono di ribellarsi.

Intanto, nei talk show, la parola d’ordine viene replicata come un mantra: irresponsabili. Chi blocca la produzione è irresponsabile. Chi porta aiuti umanitari è irresponsabile. Chi marcia con le bandiere è irresponsabile. È la magia del potere: rovesciare la realtà fino a far sembrare il silenzio una virtù e la coscienza un reato.

Ma l’incantesimo non è eterno, quell’aggettivo sputato con disprezzo diventa medaglia. Se bastano otto ore di sciopero o una Flotilla di volontari a incrinare i nervi della premier, allora vuol dire che il sistema ha paura. Non delle bombe che semina, ma della dignità che non riesce a piegare. Perché il potere, quando ha paura, tradisce la propria fragilità più di mille proclami.

Così il Paese recita la parte scritta a Palazzo Chigi, fiero armiere, solerte censore. L’unica vera irresponsabilità abita nel governo che predica ordine e semina oblio. Se la giustizia è un disvalore e la pace un crimine, allora la sola virtù rimasta è la rivolta. Che si scriva pure sui muri: irresponsabili. E orgogliosi di esserlo.