Mattarella somiglia a un vecchio marinaio che, dalla riva, ammonisce a non sfidare la tempesta. Conosce correnti e naufragi, il suo mestiere è ricordarci che il mare non si piega ai desideri, che la prudenza pesa più del coraggio. È l’arte di governare senza illusioni, quando persino il silenzio delle onde sa essere più feroce delle parole.

La Sumud Global Flotilla è l’opposto, non ascolta il vecchio, non teme il mare. Le barche arrancano ma avanzano. Non cercano l’approdo, cercano lo strappo. Non hanno armi né titoli, solo la presunzione di dimostrare che, quando il diritto è negato, la disobbedienza diventa bussola. Una follia che però inchioda il mondo alle proprie omissioni.

Il marinaio dosa le parole come sale, la Flotilla le getta in mare come bottiglie con messaggi urgenti. E dentro quei messaggi c’è scritto Gaza, non come geografia ma come condanna quotidiana: assedio, fame, bombardamenti. Due grammatiche inconciliabili che però dicono la stessa cosa: non possiamo rassegnarci alla normalizzazione dell’orrore.

Il pericolo non è la prudenza che si spegne né la protesta che si riduce a scenografia, ma l’indifferenza che li seppellisce entrambi. La saggezza archiviata come cerimoniale, l’audacia bollata come ingenuità. E il Mediterraneo che continua a inghiottire vite, sordo tanto ai discorsi quanto alle vele.

Mi piace pensare che la verità si collochi nell’incontro impossibile: il vecchio e saggio marinaio che finalmente salpa insieme al suo equipaggio. Con lui al timone la cautela che conosce i naufragi e l’audacia che sfida i blocchi non si neutralizzano, ma si esaltano. Perché il mare non sopporta neutralità comode, pretende una rotta condivisa. Ed è la rotta della dignità, l’unica che può strappare all’assedio il suo veleno.