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Ogni anno la manovra diventa un presepe dove i pastori cambiano solo cappello. Stavolta spunta il buono scuola, l’obolo da 1500 euro che promette di spalancare ai figli devoti le porte delle paritarie. Una misericordia laica che odora più di campagna elettorale che di equità. E il Parlamento si riempie di emendamenti come una tombola di fine anno, con il centrodestra intento a infilare il gettone giusto nella casella giusta.
Il gioiello è firmato Gelmini, vestale di una libertà educativa che assomiglia parecchio a un privilegio riverniciato. Perché chiamarlo buono suona bene. Ricorda le merendine a scuola, non il drenaggio di denaro pubblico verso istituti già in ottima salute. Poco importa se si impone il tetto Isee. Il vezzo resta, la direzione pure. E la promessa di arrivare a cinquemila euro con gli incentivi regionali merita almeno un inchino, magari trattenendo il riso.
L’anno scorso ci avevano provato con identica foga. Poi la polemica era montata come panna spray e la misura sparita nei meandri degli emendamenti dimenticati. Ma il governo attuale conosce l’arte della resurrezione e ripropone tutto con la serenità di chi conta sull’assuefazione generale. Le paritarie come zona franca, esentate pure dall’Imu per tenere al caldo la coscienza di qualche forza di maggioranza.
Le opposizioni si preparano alla battaglia, consapevoli però che dentro la melassa delle sei mila proposte tutto galleggia e niente affonda. Il problema è che, mentre i campioni della scuola pubblica elemosinano fondi per tetti che cadono e laboratori fatiscenti, qualcuno ritiene più urgente finanziare la libertà di scegliere una retta privata. Un’idea di giustizia che somiglia all’ombrellone piantato in mezzo al temporale.
Resta da guardare il quadro intero. Qui c’è l’aspirazione a costruire un sistema dove il pubblico sopravvive come servizio di risulta e il privato incassa applausi e quattrini. Un Paese spinto verso due corsie. Chi può paga e scavalca. Chi resta in fila si arrangia. Una lezione amara. Di quelle che segnano più del voto in pagella.






















