Quanto incidono davvero la casa e le costruzioni sul Pil? Per anni ci siamo accontentati di un numero secco, quel 6 per cento che i conti nazionali attribuiscono al valore aggiunto dell’edilizia. Una quota modesta, quasi residuale. Un numero che non racconta nulla di come gli italiani vivono, investono, risparmiano. Nulla della filiera enorme che parte dal cantiere e arriva alla vita quotidiana delle famiglie. Un primo squarcio lo ha aperto la presentazione dell’indagine Cresme, discussa oggi durante il convegno organizzato dalla Fillea Cgil tenutosi a Roma, davanti a parti sociali, imprese e osservatori del settore.
Oltre il Pil: una filiera che vale tre volte tanto
Basta cambiare lente e il quadro si ribalta. Gli investimenti in costruzioni nel 2024 valgono il 14,6 per cento del Pil, quasi il triplo del valore aggiunto ufficiale. E neppure questo basta. La manutenzione ordinaria, classificata nei consumi delle famiglie e delle imprese, vale almeno 50 miliardi l’anno. È l’insieme degli interventi minimi, quelli che mantengono in piedi il patrimonio edilizio del Paese e che non rientrano negli investimenti ma definiscono il nostro modo di abitare.
Poi c’è un altro pezzo che raramente si considera: i consumi intermedi delle costruzioni attivano il 90 per cento delle branche produttive. Significa che quasi tutto il sistema industriale si muove se si muovono le costruzioni. Ed è proprio qui che la lente del Pil, da sola, non basta più.
Il patrimonio immobiliare che entra nel Pil senza essere visto
C’è un altro valore nascosto che incide sull’economia. I conti nazionali stimano i fitti imputati, cioè il valore dell’affitto potenziale che le famiglie dovrebbero pagare per le case di proprietà se non le possedessero. Una voce che pesa, e molto. Ma spesso scompare dal dibattito pubblico, come se non descrivesse un pezzo fondamentale del benessere materiale degli italiani. Accanto a questo, si muove un mercato immobiliare fatto di beni duraturi, immobili per definizione, in cui i costi di produzione stanno da una parte e il valore aggiunto dall’altra. Anche qui, le statistiche ufficiali non bastano a ricomporre l’immagine.
Occupazione, professioni e una crescita che non si vede
Dal 2019 al 2025 l’occupazione in Italia è cresciuta con forza. Ma quanta di questa crescita arriva dalle costruzioni? Non solo lavoratori dei cantieri, ma una rete di circa 500.000 professionisti – architetti, ingegneri, geometri, periti – che operano nella filiera dell’industria casa. Dove li mettiamo? La loro attività entra di rimbalzo nel Pil, ma non si coglie il ruolo strategico che svolgono. E così, mentre il Governo taglia su infrastrutture, rigenerazione e politiche sulla casa, scompare proprio il comparto che negli anni più difficili ha sostenuto l’economia reale.
La denuncia Fillea: Governo assente, strategie smarrite
A Roma, nel convegno di oggi, la voce più critica è arrivata da Antonio Di Franco, segretario generale Fillea Cgil. Il Governo, denuncia, sta smontando pezzo per pezzo la politica industriale sulla casa e sulle costruzioni: taglia la rigenerazione urbana, lascia scadere gli incentivi energetici, blocca gli investimenti e apre ai condoni edilizi. Una contraddizione politica esplosiva proprio mentre l’emergenza abitativa torna in tutta Europa. L’Italia, sostiene Di Franco, non ha una strategia per l’abitare. Non ce l’ha sul mercato degli affitti, né sulla sicurezza sismica, né sulle infrastrutture essenziali. L’industria casa non è un capitolo di bilancio da tagliare, ma un ecosistema che tiene insieme lavoro, comunità e sviluppo.
Verso lo sciopero generale: lavoro, casa, diritti
Il 12 dicembre il mondo del lavoro scenderà in sciopero generale. Al centro, ancora una volta, la casa. Perché non esiste una politica industriale senza una politica dell’abitare. E non esiste crescita senza un settore che continua a reggere il Paese, spesso nell’ombra delle statistiche. L’indagine Cresme lo dimostra. Ora tocca alla politica farci i conti.
























