Pare che a Gallarate si siano confusi: quando hanno intitolato il teatro a Vittorio Gassman, devono aver pensato fosse un vino novello. Frizzante, magari, ma certo non antifascista. Non si spiega altrimenti come si possa ospitare un raduno sovranista-razzista proprio lì, sotto l’insegna di un uomo che della libertà, dell’arte e della resistenza fece la sua cifra stilistica. Se il grottesco cercava un palco, eccolo servito.

Alessandro Gassmann, comprensibilmente, s’è detto schifato. E ha chiesto di togliere il nome del padre da quel teatro. Troppa grazia, verrebbe da dire: forse sarebbe più utile togliere direttamente il sindaco, che nel frattempo si è offeso come un bambino a cui è caduto il gelato. E ha tuonato: “Non accetto lezioni”. Certo. Lezioni di storia, etica e decenza non rientrano nei programmi di certa amministrazione.

Gassmann junior ha ricordato che la sua famiglia il nazifascismo non l’ha letto nei libri, l’ha vissuto sulla propria pelle. Ma nel comune del Varesotto, la memoria è un optional, buona solo per le commemorazioni comode. Così, mentre in Europa si lancia l’allarme per i rigurgiti di un’epoca buia, in Lombardia si organizza il revival nero. Magari con una prova di saluto romano, per non arrivare arrugginiti.

È giusto, allora, che il figlio alzi la voce. Se proprio si vuol dare spazio all’intolleranza, che almeno non lo si faccia col volto di chi ha incarnato un’idea alta di civiltà. E se il raduno s’ha da fare, cambiate targa: chiamatelo Teatro dell’Oblio. O del Disonore. Ma lasciate in pace Vittorio nazionale. Magari leggetelo pure: scoprireste che la cultura non morde. Tranne quando serve.

Si può essere patrioti senza essere idioti. Amare l’Italia senza insultarne la memoria. Ci sono nomi che pesano, non per vanità, ma per storia. E certe eredità non si vincono, si rispettano. O si lasciano andare, senza altre figuracce.