È la presidente di Magistratura democratica, è giudice presso il Tribunale di Roma si occupa di migranti: Silvia Albano spiega perché la riforma della giustizia mette a rischio la democrazia e lo stato costituzionale di diritto come lo abbiamo conosciuto finora.

Dottoressa, ci spiega se e come questa riforma faciliterà il rapporto dei cittadini con la giustizia, quanto e come velocizzerà i processi?

In nessun modo. Lo hanno detto in molti, dal ministro Nordio all’onorevole Buongiorno: la riforma non c'entra nulla con l'efficienza e l'efficacia dell'azione giudiziaria. Non velocizzerà i processi, non darà alcun beneficio ai cittadini e non si vede neanche l'urgenza di farla approvare così rapidamente senza discussione. Le riforme costituzionali dovrebbero essere il frutto di una sintesi tra tutte le anime del Paese: una riforma costituzionale dovrebbe essere pensata e approvata da tutti e non essere espressione di una maggioranza di Governo. Neanche esponenti del Governo e della maggioranza che avevano perplessità su alcune parti della riforma hanno potuto presentare emendamenti. Le riforme costituzionali dovrebbero unire, non dividere il Paese.

Diciamo che lo spirito costituente non alberga in questo momento in Parlamento e questo è un limite...

È un grandissimo limite. Se si tocca la Costituzione, peraltro in una parte così rilevante visto che modifica un punto fondamentale come l'equilibrio e la separazione dei poteri, non può essere un colpo di mano della maggioranza, ma dovrebbe essere il frutto di un lavoro condiviso.

La nostra Costituzione si fonda su un principio che lei ha appena ricordato: la divisione dei poteri, quello esecutivo, quello legislativo, quello giudiziario. La riforma costituzionale mantiene questo equilibrio?

In realtà no. Il cuore di questa riforma non è la separazione delle carriere, è la riforma della magistratura e dell'ordine giudiziario. E non si mantiene questo equilibrio innanzitutto perché si sdoppia il Csm. Il Csm è l'organo di autogoverno della magistratura e garantisce l'indipendenza e l'autonomia della magistratura, perché se fosse governata da altri poteri dello Stato non sarebbe più indipendente, ma sarebbe dipendente da un altro potere. Lo sdoppiamento del Csm con la creazione di quello di soli pubblici ministeri crea di fatto un altro potere dello Stato: ci saranno due Csm entrambi meno autorevoli dell’unico Csm attuale. Si dice poi che si vuole ridimensionare il ruolo dei Pm, ma in questo modo in realtà gli si dà un potere enorme. Attualmente nel Csm i pubblici ministeri sono 5 su 20 togati: sono governati dai giudici, domani si governeranno da soli, diventerà un altro potere dello Stato che avrà - peraltro - al suo servizio la polizia giudiziaria.

E poi?

Inevitabilmente la tappa successiva sarà la sottoposizione dei Pm al potere esecutivo. In nessun Paese al mondo esiste un pubblico ministero che abbia un proprio organo di autogoverno diventando potere autonomo dello Stato. Se rimanesse così ci sarebbe da esser preoccupati, del resto questo vulnus è stato rilevato anche da esponenti importanti del centrodestra come il giurista Marcello Pera. 

Sempre la Costituzione afferma che i cittadini e le cittadine sono tutti uguali di fronte alla legge, qualunque lavoro svolgano, qualunque incarico istituzionale ricoprano. Sarà ancora così?

Il rischio di avere una magistratura più influenzabile dai poteri forti è grande. L’indipendenza e l’autonomia della magistratura garantiscono l’imparzialità del magistrato nel giudizio, chiunque si trovi davanti. La divisione in due del Csm, la nomina per sorteggio dei componenti togati, la limitazione delle competenze dei Csm, prima fra tutte la giurisdizione disciplinare nei confronti dei magistrati, rendono grande questo rischio.

Secondo la riforma, la governance della magistratura sarà gestita da due Csm e da una super commissione disciplinare. Cosa significa?

L’esercizio del potere disciplinare posto fuori dall’organo di autogoverno ha un'influenza enorme sull'indipendenza della magistratura: può essere esercitato in modo minaccioso e intimidatorio - qualche volta è già accaduto – e questo spettro è stato più volte agitato. Attualmente il Giudice disciplinare è composto da componenti togati e laici di nomina politica del Csm. Mettere il potere disciplinare fuori dal Csm significa togliere una funzione fondamentale dell'autogoverno che garantisce l'indipendenza della magistratura.

Oggi esiste l'obbligatorietà dell'azione penale, domani?

Domani vedremo. Temo sarà uno dei prossimi obiettivi. Non credo che potrà reggere per molto l'obbligatorietà dell'azione penale insieme ai pubblici ministeri potere autonomo. Il Parlamento troverà un modo per contenere il potere dei Pm; la via potrebbe essere proprio quella che la maggioranza indichi quali sono i reati da perseguire e quali no. Mi pare un esito abbastanza probabile.

Torniamo alla vicenda dei due Csm più una super commissione disciplinare, non più eletti dalla comunità dei magistrati e dal Parlamento, ma composti per sorteggio. Ci spiega perché non va bene?

Si dice che si vuole ricorrere al sorteggio perché si vogliono evitare altri “scandali Palamara”. Il sorteggio non solo non garantisce questo, perché il sorteggiato può essere chiunque e non è detto che sia il magistrato più onesto del mondo, ma in realtà può favorire scandali e degenerazioni perché diventa tutto meno trasparente. L'elezione, anche su designazione dei gruppi associativi, dovrebbe comportare che l'eletto abbia il dovere di rendere conto al proprio elettorato, debba dire prima cosa va a fare al Csm e poi abbia la responsabilità di una coerenza nei comportamenti. Con l’elezione si favorisce un controllo democratico dell'azione dei componenti del Csm. I sorteggiati non avranno nessuna responsabilità politica nei confronti di nessuno. Il sorteggio non garantisce nulla rispetto a legami poco trasparenti che il sorteggiato potrebbe avere con la politica, gruppi d’affari o territori. Senza contare che non avendo rappresentatività, non solo non si garantisce il pluralismo delle idee, fondamentale nell’organo di governo autonomo, ma avranno anche meno autorevolezza rispetto ai membri laici.

Ma le correnti sono questo male assoluto che dipingono?

I gruppi associativi sono stati un fattore di grande crescita della magistratura. Hanno garantito un dibattito di idee sul modello di magistrato, sul ruolo della giurisdizione, sul modo di rendere giustizia, sulla giurisprudenza. Magistratura Democratica è nata negli anni ‘60 proprio per la necessità che sentivano le persone che l'hanno fondata di costituzionalizzare l’ordinamento giuridico che era ancora molto impregnato di leggi provenienti dal fascismo. Insomma, ha fatto crescere la magistratura che è diventata più consapevole del proprio ruolo, interpretandolo in modo meno burocratico nella consapevolezza della necessità di rendere un servizio ai cittadini. E i gruppi associativi sono anche grandi luoghi di partecipazione democratica e di controllo anche rispetto alle scelte dell’autogoverno, lo dicevo prima. Dopodiché sicuramente non sono esenti da critiche, ci sono state delle degenerazioni con le quali non si è fatto sufficientemente i conti: non bastava rimuovere Palamara dalla magistratura, ci sarebbe stato maggiormente bisogno di fare i conti con quelle pratiche e trovare correttivi adeguati. Ma come dicevo, la riforma non è la soluzione e rischia da questo punto di vista di fare peggio. Oggi si punta a smantellare l’associazionismo giudiziario per normalizzare la magistratura, polverizzarla. L’associazionismo è a sua volta garanzia di indipendenza del magistrato, che così non è solo quando amministra la giustizia e deve adottare provvedimenti che possono essere sgraditi alla politica: non è solo di fronte ad attacchi molto violenti che pure ci sono stati. L’indipendenza è quella che fa sì che il magistrato possa garantire l’effettiva eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e la tutela dei diritti di ognuno.

Come dicevamo all'inizio si andrà al referendum confermativo, visto che la riforma è passata, fortunatamente, solo a maggioranza semplice. Come fare per arrivare alla vittoria dei no?

La presa di posizione dell’Anm per votare No alla riforma nel referendum, che inevitabilmente ci sarà non è a difesa di una corporazione, che continuerà comunque ad avere il proprio status e il proprio stipendio, ma a difesa della giurisdizione come possibilità di continuare a garantire i diritti di tutti e tutte. Questa riforma riguarda la democrazia e lo stato costituzionale di diritto come lo abbiamo conosciuto finora. Esiste a livello mondiale – basti vedere ciò che accade negli Usa – un’insofferenza nei confronti di qualsiasi controllo o limite al potere: se si ha la maggioranza si può fare come si vuole. È chiaro che il primo obiettivo è la magistratura, proprio perché garante della legalità anche nell’azione dei poteri pubblici. L’indipendenza della magistratura è stata garantita dai costituenti a tutela dei diritti delle persone, perché quello che era accaduto non potesse accadere mai più. Pensiamo poi che, se la riforma entrasse in vigore, bisognerebbe riscrivere completamente le norme dell'ordinamento giudiziario, attraverso le quali si possono ulteriormente aggravare gli effetti della riforma. La direzione verso la quale si vorrebbe andare anche in Italia mi pare abbastanza ben delineata ed è preoccupante: la legge sicurezza, l’eliminazione dell’abuso di ufficio (tutela penale contro gli abusi del potere nei confronti dei cittadini), la limitazione della libertà di stampa e la criminalizzazione del dissenso (la critica politica viene dipinta come odio), la riforma del premierato che concentra il potere nelle mani dell’Esecutivo. Anche a livello internazionale le Corti, garanti del diritto contro la legge del più forte, vengono costantemente attaccate: si stanno compiendo crimini tremendi e si sanzionano non gli Stati che li commettono, ma i giudici che vorrebbero perseguirli. Non si può prescindere dal contesto, anche mondiale, in cui questa riforma costituzionale si inserisce. Del resto gli esponenti del Governo hanno chiaramente detto quali sono gli obiettivi della riforma: evitare che ci siano giudici che con le decisioni possano ostacolare la loro politica.