“Non possiamo permetterci di sprecare una crisi come questa, è un'opportunità di fare cose che non si pensava di poter fare prima". La frase è di Rahm Emanuel, già capo di Gabinetto di Obama alla Casa Bianca, ed è stata pronunciata dopo la grande crisi economica del 2008. Ma il concetto - la provocazione se volete - è quantomai attuale anche oggi, in piena emergenza coronavirus. A farcelo notare è Enrico Giovannini, portavoce di ASviS, l'Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, già ministro del Lavoro, presidente di Istat e molte altre cose, che raggiungiamo telefonicamente nella sua abitazione dove continua a lavorare a pieno ritmo, anche se, ci dice, “in maniera più confusa del solito, come penso accada a tutti quanti”.

Giovannini, “non sprecare questa crisi” significa uscirne con la consapevolezza che finora si è seguito un sentiero di sviluppo sbagliato. Lei pensa che ci riusciremo?

È la speranza, ma non è detto, serve molta leadership culturale, politica ed economica. C'è un famoso detto: “Nessun vento è favorevole per chi non sa in quale porto vuole andare”. Ecco, noi dobbiamo decidere dove vogliamo approdare e dobbiamo farlo in fretta, perché il mare in tempesta ci sta facendo male, sta rompendo gli alberi e strappando le vele. Non è vero che questa terribile crisi fa bene allo sviluppo sostenibile, come qualcuno ha detto pensando solo all’ambiente. Certo, le emissioni sono ridotte, come lo sono i crimini, ma sull'altro piatto della bilancia ci sono effetti devastanti sulle vite delle persone.  

 

Non è vero che questa terribile crisi fa bene allo sviluppo sostenibile, come qualcuno ha detto pensando solo all’ambiente

A proposito di questo, come Asvis avete fatto un'analisi puntuale di quali siano gli effetti della crisi coronavirus sugli obiettivi di sviluppo sostenibile di Agenda 2030 dell'Onu. Cosa ne è venuto fuori?

Il colpo è molto duro sull'obiettivo uno (povertà), sull'obiettivo otto (crescita e occupazione), sul nove (imprese e innovazione) e sul dieci (disuguaglianze). Quelli che migliorano, invece, sono solo gli indicatori legati all'uso dell'energia, perché il crollo della produzione riduce ovviamente le emissioni, come vediamo anche dalle rilevazioni satellitari. E lo stesso vale per l'obiettivo 16, quello sull'efficienza delle istituzioni. Ma il fatto che siano crollati i furti e gli altri crimini non vuol dire che siamo realmente più efficienti di prima. Per quanto riguarda la salute, invece, l'incremento delle morti dovute all'epidemia è, almeno parzialmente, compensato dalla sensibile diminuzione di morti sul lavoro e incidenti stradali. Temo però che il saldo finale sarà comunque negativo.  

Giovannini, prima di questa crisi Agenda 2030 e l'idea dello sviluppo sostenibile erano finalmente e faticosamente entrate nelle agende di governo ed Europa. Non teme che ora si azzeri di nuovo tutto e che questi temi passino ancora una volta in secondo piano?

Certamente sì, ed è la stessa preoccupazione espressa pochi giorni fa anche dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres (“We must work together now to set the stage for a recovery that builds a more sustainable, inclusive and equitable economy, guided by our shared promise, the 2030 Agenda for Sustainable Development”, ndr). La sua preoccupazione, come la nostra, è che accada la stessa cosa che è successa nel 2008-2009, ovvero che la crisi non rappresenti un “booster” di cambiamento verso un modello di sviluppo diverso, ma piuttosto un “killer” di quello stesso cambiamento. Allora successe proprio questo: ad esempio, la reazione degli Stati Uniti, appoggiata anche da diversi economisti vicini alla nostra impostazione, fu tutta orientata a ricreare i posti di lavoro il prima possibile, senza pensare al resto. Su questi temi però c'è una buona notizia che viene dall'Europa e che mi sembra sfuggita alle cronache.  

E qual'è questa notizia?

Evidentemente tutti erano troppo concentrati su eurobond e coronabond per notare quello che c'è scritto nelle ultime righe delle conclusioni del Consiglio Europeo di qualche giorno fa. Lì ci sono due notizie potenzialmente importanti: la prima è che accanto al team creato per gestire la crisi coronavirus, ne è stato istituito un altro sulla “resilienza trasformativa”. Un gruppo di Commissari che si occuperà cioè di come “rimbalzare” una volta usciti dall'emergenza, per migliorare la nostra situazione anziché semplicemente tornare dove eravamo prima. L'altra notizia è che la Commissione si doterà finalmente di un sistema permanente di gestione delle crisi. L'Unione Europea è stata disegnata non pensando a gravi shock, di cui purtroppo il tempo presente è ricco, e questo è uno dei limiti strutturali ai quali va posto rimedio.  

 

Tutti erano troppo concentrati su eurobond e coronabond per notare quello che c'è scritto nelle ultime righe delle conclusioni del Consiglio Europeo

Venendo all'Italia, come giudica l'azione del governo ed in particolare il decreto Cura Italia?

È un provvedimento che tende soprattutto a proteggere, in qualche caso promuove, ma sostanzialmente non si occupa – e non poteva fare altrimenti – di preparare, prevenire e soprattutto trasformare, che sono le altre tre dimensioni di questo nuovo approccio alla politica basato su vulnerabilità e resilienza. Adesso il governo sta iniziando a lavorare sul nuovo decreto, che dovrebbe cominciare a pensare anche al “rimbalzo”. D'altronde, è chiaro che chi si occupa della crisi non può anche simultaneamente occuparsi del dopodomani ed è per questo che noi insistiamo per la creazione di un secondo team, come si sta facendo in Europa.

Intanto, insieme a Fabrizio Barca e al Forum Disuguaglianze e Diversità, Asvis ha avanzato due proposte precise sugli strumenti da mettere in campo subito per affrontare la “bomba sociale” che rischia di esploderci in mano: un sostegno per i lavoratori autonomi e un reddito di emergenza. Di cosa si tratta?

Il sostegno di emergenza per gli autonomi è una rielaborazione dei 600 euro che in questi giorni hanno mandato in tilt il sito dell'Inps. Quell'approccio va bene nel primo mese, ma noi proponiamo qualcosa di più strutturato (Sostegno di emergenza per gli autonomi, SEA), che tenga conto ad esempio della composizione della famiglia del soggetto, ma anche del modo con cui si è arrivati al blocco delle attività. Quindi è una proposta che costruisce e trasforma quei 600 euro in qualcosa di - noi crediamo - migliore. Il reddito di emergenza (REM), invece, sostituisce nel breve termine il reddito di cittadinanza e si occupa di quei soggetti, apparentemente marginali nel mercato del lavoro, che non hanno alcun tipo di tutela. Parliamo di qualche milione di persone, compreso chi lavora in nero.  

Anche chi lavora in nero va tutelato quindi?

Noi pensiamo di sì, per due motivi: il primo è che nelle filiere considerate “essenziali” dal decreto del governo ci sono 900mila irregolari e non ci sembra eticamente accettabile da un lato riconoscere quelle filiere come essenziali per la nostra sopravvivenza e dall'altro dimenticarsi di 900mila persone che vi lavorano; il secondo aspetto, forse ancora più decisivo, è che così facendo, potenzialmente potremmo immettere nel sistema di welfare circa 3 milioni di lavoratori che sono oggi totalmente sconosciuti ai nostri sistemi. È un'occasione unica: agganciarli al sistema per offrirgli un futuro diverso, a partire dalla formazione. Insomma, la nostra è certamente una proposta tampone, per evitare una crisi sociale drammatica, ma è anche un aggancio per il futuro. Se non lo facciamo, nella migliore delle ipotesi queste persone rimbalzeranno indietro a dove erano prima. E non è questo, di certo, quello che vogliamo.

 

Nelle filiere considerate “essenziali” dal decreto del governo ci sono 900mila irregolari

In conclusione Giovannini cosa dobbiamo imparare da questa lezione, così severa e drammatica?

Primo, che dobbiamo ascoltare gli scienziati, compresi quelli che ci avvisavano che il degrado ambientale avrebbe aumentato il rischio di pandemie. Secondo, che dobbiamo pensare in modo fortemente innovativo, per stimolare shock positivi che contrastino quelli negativi che stiamo vivendo. Terzo, che il sistema di governance di cui ci siamo dotati a livello europeo, nazionale e regionale, disegnato per gestire crisi classiche, non è adeguato per crisi sistemiche. Infine, che tutte le persone sono importanti e che il mondo fa parte di una sola comunità.