“Devono capire che noi non siamo azioni che si comprano e si vendono in borsa, siamo persone in carne e ossa e pretendiamo il rispetto della nostra dignità”. Parla con la determinazione e la rabbia di chi non intende mollare Riccardo Liti, operaio della Sangemini, storica fabbrica di acque minerali con sede nel paese omonimo (San Gemini) in provincia di Terni. Parla a una platea composta da altri lavoratori, ma anche da tanti politici, o meglio “politicanti”, come li chiama lui più volte, accusandoli di aver fatto troppe “promesse da bar” in questi anni difficili.

Liti è in cassa integrazione come i suoi colleghi della Sangemini. Quindi, da uno stipendio di circa 1.600 euro si vede sottrarre ogni mese 250 euro. “Così non si va più avanti”, grida ancora dal palco del teatro comunale di San Gemini, dove il sindaco ha convocato un consiglio aperto, al quale partecipano i lavoratori, i rappresentanti istituzionali nazionali e regionali, i sindacati, ma non la proprietà. Quella famiglia Pessina (la stessa che ha chiuso l'Unità per capirci) che ha acquisito acqua Sangemini nel 2014, attraverso concordato, per soli 16 milioni di euro e con azzeramento dei debiti.

“Da mesi chiediamo insieme alle nostre segreterie nazionali di confrontarci con loro – spiega Michele Greco, segretario generale della Flai Cgil dell'Umbria –, ma sono totalmente latitanti. Intanto, la fabbrica rischia di ritornare a uno scenario drammatico come quello del 2014. Non c'è liquidità e l'impressione è che la proprietà punti a uno spacchettamento del gruppo (Acque minerali d'Italia, che oltre a Sangemini possiede molti altri marchi e conta circa 450 dipendenti, ndr) con alcune cessioni che sarebbero già in corso”.

Che fine farebbe in questo scenario lo stabilimento Sangemini, con i suoi 84 dipendenti? Non si sa. All'ultima richiesta d'incontro, avanzata dalle segreterie nazionali dei sindacati Flai, Fai e Uila, la proprietà ha risposto con un rinvio di altri 10 giorni, gli ultimi che i lavoratori sono disponibili a concedere.

“La misura è colma – insiste Riccardo Liti, che oltre ad essere operaio è delegato Rsu per la Flai Cgil –, devono capire che questa è la nostra fabbrica e abbiamo già fatto enormi sacrifici per salvarla, ma ora non siamo più disponibili a sottostare a giochetti finanziari che guardano a interessi che sono opposti ai nostri. Noi vogliamo salvare questo marchio storico, ma come possiamo farlo se in fabbrica manca tutto, dai tappi alle etichette? Sono sei mesi che non facciamo uscire una bottiglia di vetro – continua Liti – eppure era proprio il vetro su cui avremmo dovuto puntare stando all'accordo che abbiamo sottoscritto nel 2018 e che ci è costato tanti sacrifici”.

A questo punto tra i lavoratori comincia anche a serpeggiare l'idea che forse si potrebbe fare meglio senza “l'ingombro” di imprenditori che hanno dimostrato tutta la loro inadeguatezza: “Abbiamo già fatto vedere in passato che sappiamo autogestire la fabbrica, lo abbiamo fatto per oltre 8 mesi, con ottimi risultati – dice ancora Liti –; quindi, se ce ne sarà bisogno, siamo pronti a metterci in prima linea per la nostra fabbrica e a percorrere tutte le strade utili a salvare il lavoro e la produzione”.

Intanto, dall'altra parte dell'Umbria, a Gualdo Tadino, un altro storico marchio di acque minerali, Rocchetta, vive difficoltà completamente diverse. “Paradossalmente qui sarebbero pronti investimenti ingenti, circa 30 milioni di euro, che sarebbero indubbiamente importanti per il territorio – spiega ancora Michele Greco, segretario della Flai Cgil –, ma tutto è bloccato per un contenzioso legale sulla proprietà dei pozzi e sui diritti di attingimento”. Il sindacato, che non vuole entrare nel merito giuridico della questione, ha però le idee chiare sull'assoluta necessità di scongiurare qualsiasi ipotesi di disinvestimento da parte di Rocchetta. “Per questo abbiamo già chiesto un incontro urgente alla proprietà e alla Regione – continua Greco – affinché si prenda in mano la situazione e si conduca rapidamente a soluzione, senza far ricadere ancora una volta sui lavoratori il peso di una situazione sulla quale non hanno alcuna responsabilità”.

Due casi diversi, uno stesso territorio e, soprattutto, un'esigenza comune: fare presto. “Non c'è più tempo – conclude Greco – perché la stagione estiva è già alle porte e perdere quel treno potrebbe essere, soprattutto per Sangemini, letale. Ecco perché chiediamo alle istituzioni e alla politica meno passerelle e più fatti concreti. Gli imprenditori vanno richiamati alla loro responsabilità. Parliamo di acqua, un bene pubblico, gli strumenti per esercitare un potere di certo non mancano”.