Luiz Inácio Lula da Silva è arrivato in Italia. È il primo viaggio all’estero dopo il rilascio. Dopo una lunga ed esasperante prigionia servita a tenerlo lontano dalle presidenziali poi vinte dall’estrema destra di Jair Bolsonaro. 580 giorni in carcere mentre l’opinione pubblica mondiale e le piazze si riempivano al grido di “Lula libero” e lui resisteva alle accuse e alla privazione di affetti e libertà.

Arriva in Italia Lula e visita papa Francesco. Un incontro riservato e a porte chiuse. Dopo va a casa. Perché il sindacato, in fondo, per lui come per tutti, altro non è che questo. A Corso d’Italia lo aspettano quelli che negli anni della libertà e dell’impegno sindacale prima e politico poi gli sono stati affianco, sono gli stessi che nei 19 mesi di prigionia non hanno mai smesso di chiederne la liberazione. I segretari generali di Cgil, Cisl e Uil sono visibilmente emozionati. Ma non c’è stanza né corridoio della confederazione che non sia in fermento.

In sala ci sono anche tanti brasiliani che vivono in Italia. Sono gli attivisti del Comitato Lula Livre, sostenitori del PT, simpatizzanti della CUT. Cantano quando sentono che quello che continueranno a chiamare sempre Presidente sta per entrare: “Lula, il popolo è con te”. C’è anche una bambina, mascotte del movimento, che gli consegna un disegno e un messaggio. Lui si commuove e l’abbraccia.

Tutti, in fondo, vogliono dirgli la stessa cosa. Vogliono dirgli grazie per aver avuto la forza di resistere e di continuare a lottare. E vogliono promettergli che nella difesa difficile della democrazia continueranno sempre a essere al suo fianco. Lula ricambia perché anche nei momenti più bui, in quella cella di Curitiba, non si è mai sentito solo. Poco prima, in una stanza al quarto piano, Maurizio Landini gli ha regalato una litografia di Rosa Luxemburg, donna, ebrea, polacca, comunista assassinata nel 1919 in una Germania che detestava le sue idee rivoluzionarie. Lulaprende la parola e lo fa alla sua maniera. Rivoluzionaria anche quella.

Racconta il suo incontro con Papa Bergoglio, il legame che li unisce: il desiderio di stroncare le disuguaglianze e quello di difendere un pianeta sempre più a rischio. Attacca le destre senza confine, il populismo, il fascismo, un virus che si sposa con una leadership globale dove i personalismi e gli autoritarismi non riescono a nascondere una sostanziale insignificanza. Ma il suo è soprattutto il racconto di una lunga storia. Cita i suoi rapporti con i sindacati italiani fin dagli anni ’80; l’incontro che non dimenticherà mai con Enrico Berlinguer. Una lunga serie di aneddoti che hanno come protagonisti Lec Walesa, Kofi Annan e persino George W. Bush: “Ottieni rispetto solo quando sei tu il primo a rispettare te stesso” dice. In ogni parola che spende c’è il richiamo alla dignità e alla difesa degli ultimi.

Il suo saluto, alla fine, è un arrivederci. Lula, il presidente operaio che è stato a capo del sindacato dei metallurgici, che ha fondato insieme a Chico Mendes il Partito dei lavoratori, che ha guidato il Brasile dal 2002 al 2010, è un uomo tutt’altro che piegato dagli avvenimenti degli ultimi anni. “Sono un settantaquattrenne – dice - ma ho l’energia di un ventenne. Non mi arrenderò”.