Centinaia di sindacalisti e attivisti dei diritti umani uccisi nel silenzio della Comunità internazionale. Non funziona l'accordo di pace siglato in Colombia nel novembre 2016: a rivelarlo è un nuovo drammatico rapporto della Csi, il sindacato mondiale, dal titolo “Pace e rischio” che svela il fallimento del governo del presidente Iván Duque di rispettare gli impegni presi con quell'accordo.

Secondo la Csi, meno di un quarto delle misure previste sono state davvero implementate dal governo, nonostante gli impegni presi con Unione europea, Stati Uniti, Ocse e Ilo. Ma il dato più drammatico è quello relativo alla repressione del dissenso: tra il primo gennaio 2016 e l'8 settembre 2019 sono 777 gli attivisti per i diritti umani assassinati in Colombia.

Il rapporto – un'iniziativa congiunta della Csi e dei sindacati colombiani Cut, Ctc e Ens – dimostra come i difensori dei diritti umani continuino ad essere sotto tiro. Tra questi ci sono anche molti rappresentanti dei lavoratori: nel 2018 il numero di sindacalisti uccisi ha fatto registrare un record, 34 vittime, soprattutto concentrate nei settori dell'educazione, dell'agricoltura e delle miniere. Mentre minacce, violenze e perfino torture hanno colpito altri sindacalisti in 234 casi.

Gli autori di queste “violazioni dei diritti umani” restano per lo più impuniti. È ancora il rapporto della Csi a svelare che il 95% dei crimini commessi contro sindacalisti colombiani non sono stati perseguiti e nel 60% dei casi gli autori dei fatti non sono stati nemmeno identificati.

Anche recentemente le proteste contro le politiche del governo, scoppiate lo scorso 21 novembre, sono state subito oggetto di una violenta repressione da parte delle autorità. “Tragicamente la violenza è di nuovo in aumento in Colombia e il presidente Duque insieme ai suoi alleati conservatori deve prendersene la responsabilità – afferma Sharan Burrow, segretaria generale della Csi –. Un accordo di questa importanza non può essere semplicemente messo da parte per il capriccio di un governo che sembra molto poco interessato al popolo e al futuro del paese”. Secondo il sindacato mondiale l'annuncio di un “dialogo nazionale” da parte di Duque non è credibile, mentre continua lo stato di repressione.

A suo tempo, la sigla dell'accordo di pace fu accolta con una grande dose di speranza, perché registrava un forte impegno sia da parte dell'allora governo che delle Farc verso la pace. Esso comprendeva una riforma agraria complessiva e apriva spazi di partecipazione politica e per il rispetto dei diritti. “La speranza era che il governo smettesse di alimentare la violenza e iniziasse ad occuparsi della povertà e delle disuguaglianze – afferma ancora Burrow –. Invece la Colombia resta ancora oggi il paese dell'America Latina con il maggior tasso di ingiustizia nell'accesso alla terra, mentre i lavoratori sono costretti in povertà da leggi che favoriscono le famiglie più ricche e gli investitori stranieri e penalizzano il popolo. Il governo Duque sta portando la Colombia su un sentiero che mette seriamente a rischio la pace”, conclude la segretaria della Csi.

Di fronte a questa situazione il sindacato mondiale chiama in causa i partner internazionali della Colombia, i quali “non possono stare a guardare, mentre chi difende i diritti umani viene assassinato e le ingiustizie economiche che alimentano il conflitto restano irrisolte”.