Poco più di 341 mila: sono queste le persone che, nel triennio 2019-2021, usciranno con Quota 100 (la possibilità di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 38 di contributi). Di loro, la componente femminile non arriva a 100 mila persone. Sono alcuni dei dati che si evincono da una simulazione elaborata da Cgil e Inca nell’analisi "Dis(uguaglianze) di genere nel sistema previdenziale" presentata oggi (12 novembre) nella sede nazionale del sindacato a Roma. Confederazione e patronato sottolineano come Quota 100 non sia “una risposta” ai bisogni e alle questioni che emergono dall’universo delle donne. La ricerca stima che nel periodo 2019-2021 oltre 43.500 donne usciranno con Quota 100 nel settore privato e più di 56.200 nel settore pubblico. Il resto della platea coinvolta è rappresentato da uomini (oltre 214 mila). La Cgil rivaluta al ribasso, inoltre, le stime del Def, che prevedevano 973 mila uscite nel triennio: per la confederazione le uscite saranno 631 mila in meno.

I DATI PRESENTATI NEL REPORT
Le disuguaglianze di genere presenti nel mercato del lavoro si ripercuotono anche sul sistema previdenziale: le pensioni di vecchiaia erogate alle donne sono il 48% in meno rispetto a quelle erogate agli uomini, quelle anticipate il 20% in meno. Inoltre, l’83% delle pensioni integrate al minimo sono liquidate alle donne, che ricevono una pensione di vecchiaia che ammonta a 645 euro lorde al mese. Come si evidenzia nel rapporto, poi, le donne sono penalizzate anche per l’accesso alla pensione anticipata. Hanno potuto usufruire di strumenti come Ape sociale e Precoci solo rispettivamente il 34% e il 17% delle lavoratrici. Ecco perché secondo la confederazione quota 100 resta una risposta “parziale”. Infatti, sulla base di alcune stime del sindacato le donne che nel 2019 utilizzeranno tale misura saranno circa 40mila, il 26% del totale (pari a 144mila). Un quadro di forti disuguaglianze aggravato dalla normativa attuale che prevede vincoli anche reddituali di accesso alla pensione. Infatti, come evidenzia la Cgil, le lavoratrici che andranno in pensione con il sistema contributivo (tra il 2035 e il 2040) saranno costrette ad aspettare i 73 anni di età poiché il loro reddito non supera di 2,8 volte (1280 euro) o 1,5 volte (680 euro) l’assegno sociale.

L’analisi è stata presentata martedì 12 novembre durante un’iniziativa organizzata dalla Cgil nazionale nell'ambito della campagna della confederazione "Rivolti al futuro". È il secondo appuntamento dopo quello dedicato ai giovani, ed è stata un’occasione importante, anche alla luce del confronto aperto con il governo, per evidenziare le problematiche dell’attuale sistema pensionistico e quanto le riforme degli ultimi dieci anni abbiano pesato in particolare sulle donne. Per la Cgil è necessario riconoscere il lavoro delle donne e valorizzare quello di cura, come richiesto dai tre sindacati confederali nella piattaforma unitaria, ed è tempo di ottenere risposte concrete per superare la riforma Fornero, dando così un futuro pensionistico ai giovani, alle donne e ai lavoratori gravosi. L’iniziativa è stata aperta da Susanna Camusso, responsabile delle Politiche di genere della Cgil nazionale. A seguire la relazione introduttiva del segretario confederale Roberto Ghiselli. Poi gli interventi di diverse delegate di categoria e il contributo di Maria Luisa Gnecchi, responsabile welfare del Pd e componente della segreteria, e del sottosegretario al Lavoro Francesca Puglisi,. Le conclusioni sono state affidate al segretario generale della Cgil Maurizio Landini.

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“Chiediamo che il tavolo che abbiamo conquistato prenda nei prossimi giorni la strada di una riforma strutturale della legge Fornero, per dare garanzie future a tutti e uguaglianza, riconoscendo le differenze di genere”. Lo ha detto nel corso dell’iniziativa Maurizio Landini. “C’è bisogno, dentro questa legge di bilancio, di dare i primi segnali che riguardano il part-time verticale, l'allargamento dell'Ape sociale e la definizione di un percorso certo per una legge sulla non autosufficienza. C’è poi - ha proseguito Landini - un nostro giudizio di insufficienza rispetto alla rivalutazione delle pensioni”, uno dei temi al centro della manifestazione unitaria indetta dai sindacati per sabato 16 novembre al Circo Massimo a Roma.

"Stiamo affrontando il tema della diseguaglianza di genere nel sistema previdenziale perché il nostro sistema previdenziale è ingiusto per tante ragioni, in quanto non è pensato sul fatto che il lavoro delle donne ha caratteristiche differenti". Lo ha sottolineato Susanna Camusso a margine dell'evento. "Le donne, infatti, pagano il prezzo di un mercato del lavoro che le vede relegate nei lavori più poveri e ad un orario più ridotto. Tutto ciò ha delle conseguenze – ha aggiunto – sul sistema previdenziale, soprattutto in un sistema che non legge più che la vita delle donne è caratterizzata non solo dal lavoro, ma anche da tutto il lavoro domestico, di cura, cioè tutto ciò che poi sostiene quella fondamentale struttura sociale che sono le famiglie in ogni loro forma e di relazione".

“Per rimuovere le attuali disuguaglianze – ha osservato il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli – serve una riforma complessiva dell’attuale sistema pensionistico, così come proponiamo nella Piattaforma unitaria elaborata con Cisl e Uil. Per il dirigente sindacale “vanno riconosciute le diverse condizioni delle persone, a partire da quelle di genere, bisogna prevedere una vera flessibilità in uscita, tutelare le carriere discontinue, il lavoro di cura prestato in ambito familiare, che per il 68% è a carico delle donne. Inoltre è urgente intervenire per garantire una piena e regolare copertura previdenziale alle lavoratrici in part time verticale ciclico, che ad oggi, non vedendosi riconoscere i contributi nei periodi di sosta lavorativa, sono costrette ad andare in pensione più tardi”.