Le Marche hanno deciso di procedere alla costruzione di tre nuovi ospedali, ricorrendo allo strumento del project financing: scelta su cui i sindacati esprimono valutazioni critiche e forti preoccupazioni, come evidenziato nel documento inviato al presidente della Regione, Luca Ceriscioli.

“Proprio sul fronte dell’edilizia ospedaliera, diverse esperienze di altre regioni si sono rivelate piuttosto negative, portando alla gestione degli ospedali da parte dei privati per un enorme numero di anni e con un costo, per il pubblico, che rischia di essere insostenibile, come peraltro confermato da numerosi interventi critici anche della Corte dei Conti”, dichiarano Daniela Barbaresi, Sauro Rossi e Graziano Fioretti, segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Marche.

Si pensi alla Toscana, alla Sardegna, piuttosto che al Veneto, dove la Corte dei conti ha rilevato la “spiccata convenienza per il concessionario”, evidenziando come il project financing non sia adatto per gli ospedali e in generale per le opere cosiddette “fredde”. La stessa Corte ha rimarcato lapidariamente che il project financing è un valido strumento di coinvolgimento dei privati nella realizzazione di opere pubbliche, purché l’opera venga realizzata integralmente con capitali privati.

Proseguono i tre leader sindacali: “Per quanto riguarda i tre nuovi ospedali marchigiani, per cui si dovrebbe ricorrere al project financing, ad oggi, le nostre valutazioni si possono basare solo su pochi atti amministrativi: sarebbe stato più utile promuovere un percorso di partecipazione e coinvolgimento sull’impianto progettuale, sia per le ripercussioni sul sistema sanitario marchigiano che per l’impatto sui lavoratori, a partire da quelli che saranno coinvolti nella costruzione delle opere e nella gestione dei servizi”.

In ogni caso, quei pochi atti suscitano notevoli preoccupazioni. In particolare, per quanto concerne l’ospedale di Muraglia e la proposta progettuale dell’Ati, con a capofila la Renco spa, la Epta prime srl, chiamata dalla Regione a valutare gli aspetti economici e finanziari, così come anche il Dipe (Dipartimento per la programmazione economica della presidenza del Consiglio), hanno evidenziato la necessità di procedere alla revisione delle clausole della convenzione, riferibili alla ripartizione dei rischi tra soggetto pubblico e partner privato.

“A tal proposito sono numerosi i quesiti che abbiamo sottoposto al presidente Ceriscioli, senza aver finora ottenuto risposte – dicono i tre dirigenti sindacali –. Innanzitutto, vorremmo sapere quali sono i rischi di impresa che si assumerà il partner privato, cosi come vorremmo sapere quale sarà il corrispettivo che la Regione dovrà pagare al privato per realizzare la gestione delle strutture. Vorremmo poi sapere come verranno indicizzati i canoni a carico del soggetto pubblico”.

“Un altro fattore preoccupante è il rischio delle ripercussioni sulle possibili catene di appalti e subappalti, che sarebbero tutte gestite in un’ottica di tipo solo privatistico, con la possibilità per il soggetto privato d'appaltare e subappaltare senza alcun vincolo e al di fuori dell’applicazione del Codice degli appalti pubblici: situazione preoccupante, sia per i lavori di costruzione che per quelli di gestione dei servizi non sanitari, che verrebbero garantiti al privato, di fatto, in condizione di monopolio per un elevato numero di anni”, aggiungono i confederali.

“Vorremmo poi sapere qual è l’eventuale disponibilità di risorse in conto capitale su cui la Regione può contare per la costruzione di nuovi ospedali e per la manutenzione e adeguamento di quelli vecchi e se ci sono eventuali finanziamenti statali. In sostanza, vorremmo sapere se la realizzazione dei tre nuovi ospedali, con questo strumento che graverà in modo pesante sui bilanci correnti della Regione, di fatto, sarà sostenibile, tenendo conto anche della necessità d'interventi sulle altre strutture ospedaliere”.

“Insomma, vorremmo sapere se la Regione è in grado di sostenere i canoni, che potrebbero sfiorare i 100 milioni l’anno per i prossimi 25-30 anni, senza che questo possa ripercuotersi negativamente sulla copertura dell’offerta dei servizi sanitari. Infine, a fronte di tali considerazioni, Cgil, Cisl e Uil chiedono un percorso condiviso che possa garantire maggiore consapevolezza delle istituzioni, delle forze sociali e soprattutto dei cittadini”.