Uno sbarramento tra le generazioni, un tappo che non permette ai più giovani di inserirsi nel mercato del lavoro italiano e che fa schizzare verso l'alto l’età media degli occupati. A registrare questa preoccupante tendenza, “dovuta solo in parte all’invecchiamento della popolazione”, è la Fondazione Di Vittorio, in un report significativamente intitolato “Ingorgo generazionale?”, curato da Lorenzo Birindelli e reso noto oggi, lunedì 8 ottobre (scarica il pdf).

Negli ultimi dieci anni, secondo l'analisi, la composizione del mercato del lavoro nel nostro Paese è radicalmente cambiata e l’età media dei lavoratori si è fortemente innalzata. L'invecchiamento strutturale del Paese c'entra poco, però, perché tra i giovani (15-34 anni) il calo degli occupati dal 2° trimestre 2008 al 2° trimestre del 2018 (-1 milione 863 mila) sorpassa di quasi 500 mila unità il calo della popolazione della stessa fascia d’età (-1 milione 374 mila), con il tasso di occupazione che cala del 9,3%.

Prendendo poi a riferimento tutte le classi di età (15-34, 35-49, 50-64), la Fondazione Di Vittorio ha scoperto che solo tra i giovani (15-34 anni) tutte le grandezze del mercato del lavoro peggiorano: meno occupati, più disoccupati, più inattivi, cambiando profondamente, a loro sfavore, la gerarchia nel mercato del lavoro, con particolare criticità nel Mezzogiorno, dove il tasso di occupazione attuale (29,8%) segna un ritardo di oltre 20 punti percentuali rispetto al tasso di occupazione del Nord (51,0%).

Il tasso di disoccupazione, così come il numero di disoccupati, è tra l'altro cresciuto in tutte le classi di età. Tuttavia, l’aumento in punti percentuali di quello giovanile (+7,9) è circa il doppio di quello della fascia intermedia (+3,9 punti) e più del doppio di quello della fascia matura (+3,6). Nell’intera fascia di età lavorativa 15-64 anni il tasso di occupazione è tornato in sostanza quello di 10 anni fa (58,7%), così come è accaduto per il numero di occupati. Sono dati che però non tengono conto della qualità del lavoro e c'è da considerare anche il fatto che il tasso di occupazione italiano resta ancora distante da quello medio europeo e dei principali Stati (circa -16 punti dalla Germania, -6 dalla Francia e, addirittura, -3 anche dalla Spagna).

Per il presidente della Fondazione, Fulvio Fammoni, “è ragionevole collegare questi dati principalmente agli interventi legislativi, come la legge Fornero, che hanno spostato ulteriormente in avanti l’età del pensionamento, ma è anche evidente che l’attuale modello di sviluppo non propone lavoro in qualità e quantità adeguate. Sbloccare quindi la possibilità di pensionamento è giusto e necessario, ma di per sé non è sufficiente a garantire un aumento di pari entità del lavoro tra i più giovani, né un miglioramento della sua qualità. Insomma solo uno sviluppo di qualità potrà far lavorare di più e meglio i giovani”.

Per la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti, invece, il cambiamento della composizione del mercato del lavoro richiede riflessioni profonde, “anzitutto sul fatto che la domanda di lavoro che c’è, ancorché scarsa, non scommette sulle giovani generazioni. Di innovazione, capacità digitali, abilità 4.0, elevate competenze si parla molto, ma probabilmente riguardano ancora una quota molto parziale del sistema produttivo”.

“Una seconda riflessione – aggiunge la dirigente sindacale – riguarda le misure incentivanti degli ultimi anni, del tutto insufficienti se non addirittura fallimentari se non sostenute da politiche industriali, investimenti, sostegno alla qualità del lavoro e al suo riconoscimento sociale ed economico”.

“Infine – prosegue la segretaria della Cgil – non possono essere neutre le ricadute sociali che i dati raccontano, aggravate dai grandi divari territoriali. L’alta disoccupazione giovanile di oggi è un ostacolo alla natalità e alla crescita del Paese e, senza correttivi, determinerà un impoverimento di natura previdenziale nel futuro, che rischia di pregiudicare la già fragile tenuta sociale del Paese”.

“Un Paese – conclude Scacchetti – che, se non sarà capace di mettere in campo un forte piano di investimenti pubblici e privati, un piano straordinario per l’occupazione giovanile e una politica fiscale progressiva fortemente redistributiva a favore dei lavoratori e dei pensionati, si condanna a un lento declino”.