‘Dove stiamo andando? Scenari di un futuro che cambia’. È il titolo della prossima iniziativa di Agenquadri, che si svolgerà al Castello Estense di Ferrara (9-11 giugno) nel quadro della Summer school,  un appuntamento diventato ormai tradizionale per l’organizzazione delle alte professionalità Cgil. “L’idea della Summer school nasce da due riflessioni ben precise – spiega il presidente Paolo Terranova –: ci rendiamo conto che il mondo sta cambiando in modi e tempi che non avevamo previsto. Facciamo fatica a immaginare dove ci condurranno tali cambiamenti e non ci sembra siano in campo elaborazioni complessive su ciò che ci attende. L’edizione 2016 ha disegnato possibili scenari di massima, parlando di fantascienza. Con la rassegna di quest’anno, ripartiamo laddove ci eravamo fermati, provando a dare risposte alle domande di dodici mesi fa, ragionando di mappe e di traiettorie, sapendo che la vera fantascienza costruisce scenari immaginifici, ma con i piedi piantati per terra nella ricerca scientifica. E allora ci chiediamo: in che direzione stanno andando i diversi attori, pubblici e privati? Esistono esperienze e modelli diversi e contrapposti di cambiamento? Esiste un’etica dell’innovazione? Qual è il rapporto fra scelte tecnologiche e sociali? E noi, come federazione sindacale generale professional and manager, lungo quali traiettorie vogliamo indirizzarci?”

 

Ma fra tanti interrogativi, la formazione che ruolo gioca? “La formazione è utile se permette di alzare la testa e di guardare al dopodomani – risponde Giancarlo Pelucchi, responsabile formazione Cgil nazionale –. Ad esempio, con la Carta dei diritti universali del lavoro proviamo a immaginare cose che non abbiamo mai fatto prima. Una sfera di diritti da acquisire in futuro per persone che ne sono prive, come i precari, e quindi è un processo utile anche per il sindacato, per allargare i propri orizzonti verso una frontiera non organizzata”.  

Spesso il futuro è già qui, com’è avvenuto alla Summer school dell’anno scorso, quando si è parlato di nuova rivoluzione industriale. “Era una discussione che sembrava molto in nuce – ricorda Terranova –, ma poi il tema è esploso e da allora non si parla che d’industria 4.0, di smart work, di termini cdi cui fino a dodici mesi fa neanche eravamo a conoscenza. Ci sembra un racconto che viene da una sola parte e da un unico punto di vista. Si parla di cambiamenti tecnologici, del rapporto tra tecnologia e occupazione, ma con una lettura micro, in quanto legata alla singola azienda. Noi pensiamo che i cambiamenti tecnologici comportano anche dei cambiamenti sociali, di come si organizza il lavoro in un nuovo contesto. Ci siamo chiesti: ma noi abbiamo gli strumenti cognitivi sufficienti per fare delle scelte e come i cambiamenti e i diversi modelli si adattano alla nostra storia? Il Piano del lavoro, la Carta dei diritti sono pezzi di un discorso più ampio, però un po’ d’informazione in più ci può senz’altro aiutare”.

Secondo Pelucchi, “le tecnologie non sono mai neutrali. È un vecchio dilemma sindacale: non siamo luddisti ma neanche entusiasti delle nuove tecnologie. A noi piace guardare tutto il ciclo lavorativo e la formazione è importante sia per quelli che vengono espulsi dai processi produttivi sia per quelli che rimangono nel mondo del lavoro. Le imprese tendono a negare che vi siano conseguenze sociali alla formazione. Noi pensiamo che chi s’impegna e acquisisce un bagaglio in più di competenze lo deve veder riconosciuto contrattualmente in busta paga, anche se la Confindustria su questo non è d’accordo”.

“Nel decennio della crisi si è diffuso il lavoro povero, mentre l’attività professionale di dirigenti, quadri e ricercatori ha subìto di sicuro i contraccolpi più forti, in termini di calo occupazionale e taglio del salario. Logica conseguenza di imprese in difficoltà, che non hanno guardato all’innovazione, ma solo a contenere i costi. Il contrario di quello che è successo in molti paesi europei, inclusi Polonia e Lituania. Ora abbiamo di fronte la riduzione del ceto medio legata ai processi d’innovazione, in quanto l’automazione non riguarda più solo il lavoro manuale, come avveniva in passato, ma anche parte del lavoro intellettuale e della conoscenza. Dunque, impatta sulle alte professionalità. Perciò, il rischio è di avere una polarizzazione tra il lavoro povero, che diventa sempre più povero e finisce sempre più in basso, e il lavoro professionale e specializzato, che rimane di nicchia, ma molto in alto. Di questo, ci interroghiamo in Agenquadri, anche nel rapporto con la Cgil”, aggiunge Terranova.

“Il modello scelto della Summer school - dove i lavoratori hanno libero accesso, portando la loro professionalità ed esperienza e la discussione risulta ricca e interessante per la pluralità dei partecipanti -, va al di là del modello della formazione sindacale strettamente intesa, ed è esportabile. È giusta la scelta di Agenquadri che ha bisogno di affrontare tali questioni dentro la Cgil, facendo emergere la complessità del ruolo che svolge fra lavoratori vincenti e perdenti. La quarta rivoluzione industriale è nelle aree del terziario più che in fabbrica. Il modo in cui il sindacato riuscirà a intercettare questi cambiamenti, prima ancora di organizzare queste nuove persone sotto il profilo della tutela e della contrattazione organizzata, sarà decisivo. Di sicuro, non sarà un traguardo facile da raggiungere”, rileva Pelucchi.

“Luci e ombre sul lavoro agile e sullo smart work: si fa già nelle grandi imprese italiane, ed esiste come fenomeno formalizzato, per buona parte realizzato tramite accordi sindacali. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: a molte persone viene chiesto di lavorare fuori dalla loro sede aziendale e oltre l’orario. Procedura che non tutela affatto i lavoratori, perché è considerato lavoro aggiuntino e non sostitutivo come dovrebbe essere. In pratica, vi sono aziende che, anzichè proporre lavoro agile, in realtà instaurano solo vecchie esperienze di taylorismo digitale, ovvero modi obsoleti di lavorare in un contesto esterno alla fabbrica, con logiche organizzative superate, pur di abbattere i costi. Su questo, abbiamo organizzato un seminario apposito, facendo raccontare ai lavoratori le loro esperienze”, conclude Terranova.