Taranto e i suoi cittadini sono tra due fuochi. Quello che sta accadendo negli ultimi giorni sul fronte dell’Ilva del capoluogo ionico sta assumendo i connotati della commedia dell’arte. Da una parte il governo centrale che, mentre stanzia due miliardi, sposta a sei anni il raggiungimento dell’Aia (l’Autorizzazione integrata ambientale); dall’altra i sindacati, che chiedono garanzie e un piano industriale esaustivo. A rendere ancora più complessa la situazione hanno contribuito Comune di Taranto e Regione Puglia, guidati da Michele Emiliano e da un suo fedelissimo, impugnando davanti al Tar il dpcm del 28 settembre scorso.

Emiliano, che è un magistrato, sa benissimo quali sono i tempi dei tribunali amministrativi e che dunque la sua iniziativa avrà come risultato più ovvio quello di rallentare la trattativa tra governo e sindacati. E mentre la sua decisione viene salutata negli ambienti politici a lui più vicini come un atto di forza doveroso contro le lobby, dall’altra il ricorso riversa le sue conseguenze più nefaste sulla pelle e sul futuro dei lavoratori. Intanto, com’era facilmente prevedibile, il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda ha annunciato il congelamento della trattativa (“tanto – deve aver pensato – se il ricorso passa, l’Ilva chiude”).

La scelta di Emiliano ha lasciato di stucco i sindacati, anche sul territorio, dove i più esperti sanno che uno dei modi per risolvere le vertenze è impegnare gli enti a garantire investimenti. “A fronte di una possibile sospensiva del Tar – commenta diplomaticamente Paolo Peluso, segretario generale della Cgil di Taranto – la prosecuzione del confronto sindacale, già complicata, diventa difficilmente percorribile. Bisogna ricordare l'intreccio tra piano ambientale e industriale. Solo una ricomposizione del conflitto istituzionale, da noi fortemente sostenuta fin dall'inizio, può rendere cogente una discussione”.

Più rabbioso Giuseppe Romano, a capo della Fiom tarantina: “Siamo tra due fuochi, perché se da un lato sapevamo che il dpcm non andava bene, dall’altra siamo consapevoli che la via giudiziaria non è la giusta soluzione. Ora il governo minaccia di far saltare tutto e questo è proprio un bel pastrocchio. Andava rivista l’Aia, soprattutto per i tempi, anche se nel piano industriale non abbiamo ancora visto le innovazioni tecnologiche necessarie per rendere sostenibile la fabbrica”.

Città, abitanti, lavoratori, tutti vittime sacrificali di un conflitto istituzionale che sembra piuttosto uno scontro interno al partito di maggioranza relativa. All’indomani dell’azzeramento delle cariche del Pd regionale, che presto dovrà determinare i candidati alle prossime elezioni politiche, Emiliano pigia il bottone del Tar, sostenendo in sintesi che il governo si sta occupando dell’Ilva senza nemmeno pensare di coinvolgere il Comune e la Regione, che pur qualcosa da dire ce l’avrebbero.

Continua Romano: “Il governo avrebbe potuto coinvolgere Regione e Comune. Stiamo assistendo a uno scontro che dura da tempo. La soluzione è migliorare l’Aia e, per quanto ci riguarda, il confronto deve proseguire in una dialettica tutta sindacale. La politica non tiene conto del dramma dei lavoratori e del territorio. Non ce lo possiamo permettere. Dovremmo pensare alle cose concrete e alla vita reale dei cittadini e dei lavoratori”. Una posizione del tutto analoga a quella della Cgil nazionale: il segretario confederale Maurizio Landini, che sarà a Taranto il prossimo 13 dicembre, considera il ricorso al Tar “un errore”.

Cittadini e sindacati, insomma, sono nel mezzo di una battaglia che solo apparentemente è di civiltà. E ritornano in mente le parole che un anno fa l’ex segretario generale della Cgil provinciale lanciava a Michele Emiliano, invitandolo a smetterla di usare Taranto come palcoscenico personale. Un invito che andrebbe ora esteso ad altri, a cominciare dall’esecutivo nazionale.