"La possibile acquisizione di Rcs libri da parte di Mondadori, oltre a determinare un eccesso di concentrazione nell'editoria con il 40% del mercato, cambierebbe radicalmente il profilo del gruppo Rcs, che, senza la divisione libri, non potrebbe più essere definito un grande gruppo multimediale". Da qui, parte il confronto con Massimo Cestaro, segretario generale dell'Slc Cgil, intervistato stamattina (6 marzo) da Italia Parla, la rubrica di RadioArticolo1 (qui il podcast).

"Dal punto di vista della riduzione occupazionale, noi abbiamo fatto accordi piuttosto pesanti, per consentire che il gruppo rimanesse competitivo. E il consenso avuto dai lavoratori era finalizzato a quel progetto, cioè ad avere un gruppo solido che potesse stare sul mercato, sia sul versante delle vecchie piattaforme - la carta stampata -, che sulle nuove piattaforme digitali. Oggi c'è il consiglio di amministrazione, ma ho qualche dubbio, visto che è in scadenza, che possa assumere decisioni così importanti come una profonda revisione del profilo del gruppo. Per quanto riguarda il pluralismo, e sul fatto che l'operazione porterebbe a una sorta di editore unico, abbiamo raccolto le preoccupazioni dei lavoratori di Rcs libri, la parte forte, anche economicamente, di Rcs Mediagroup. Negli ultimi anni, il settore dell'editoria è stato attraversato da profonde trasformazioni, ma le piattaforme digitali non hanno sostituito integralmente la carta stampata; anzi, su quest'ultima il mercato pubblicitario funziona assai meglio che non sulle piattaforme digitali. Quindi, il tema dell'integrazione tra diverse piattaforme è centrale per i grandi gruppi editoriali. La nostra preoccupazione è che si determini un'eccessiva concentrazione sul mercato, ma che, nel contempo, con tale acquisizione s'indebolisca uno dei principali player della multimedialità", ha detto il dirigente sindacale.

"La battaglia che portiamo avanti da tanto tempo riguarda proprio l'indebolimento del pluralismo, causato dai ripetuti tagli che tutti i governi dell'ultimo decennio hanno inferto al sistema dell'editoria. Parlo di editoria no profit, cooperative di giornalisti, emittenza locale, ma anche di organi d'informazione delle forze politiche - vedi la vicenda dell'Unità -. Siamo in presenza di interi territori, soprattutto nel Centro-Sud, del tutto desertificati dal lato dell'informazione. Assistiamo a chiusure continue di radio e tv locali, testate no profit, stampa territoriale. Il processo di trasformazione dell'editoria - parliamo di un valore costituzionale -, avrebbe dovuto essere accompagnato da un disegno di riforma che indirizzasse il cambiamento, cosa che nessun governo ha fatto".

Nell'ambito della campagna della Cgil ('Meno giornali, meno liberi'), avviata assieme a un gruppo di federazioni, tra cui Mediacoop e Fnsi, puntiamo a una riforma del settore e a difendere il pluralismo no profit. In autunno organizzeremo un'iniziativa con le più importanti associazioni imprenditoriali della filiera della carta, per chiedere a forze politiche e istituzioni se si ritiene ancora valido l'articolo 21 della Costituzione, che tutela e difende il sistema dell'informazione. Ma una tutela non può essere dichiarata a parole senza che ci sia anche un sostegno economico, perché è come se dicessimo: 'siamo favorevoli alla sanità pubblica, però non la finanziamo': questa è la prima questione da porre, cioè che valenza si dà all'impianto costituzionale, cioè l'informazione è un bene pubblico si o no, e se lo è, in che modo lo stato sostiene il pluralismo?" si è domandato Cestaro.

"Abbiamo proposto modifiche alle normative precedenti sul sostegno all'editoria, perché effettivamente c'erano storture e sprechi da rimuovere, e in parte lo si è fatto. Inoltre, occorre individuare i criteri oggettivi su cui si sostiene effettivamente l'editoria no profit, la piccola editoria, l'emittenza locale. Da tale punto di vista, abbiamo diverse idee, però il punto principale è come si combina l'intervento del privato e l'intervento pubblico per gestire la fase di transizione verso le nuove piattaforme digitali, che, ripeto, non saranno sostitutive del cartaceo. Nè il libro nè i quotidiani scompariranno, ma si trasformeranno in presenza di un'informazione just in time, quella che abbiamo sui nostri tablet e telefonini. Il quotidiano continuerà ad essere il luogo dell'approfondimento della notizia, ma cambierà la configurazione editoriale di tutta l'informazione che gira sulle piattaforme digitali. Ad esempio, su internet sarebbe importante che ci fosse la certificazione delle fonti, perché quando leggo una notizia sul giornale so chi ne è l'autore e il direttore di riferimento, mentre di tantissima informazione che circola sulla rete non sappiamo assolutamente nulla", ha rilevato ancora il leader dell'Slc.

Altro tema, l'offerta di acquisto per Rai Way, la società che gestisce le torri di trasmissione Rai, da parte di Ei Towers, che fa lo stesso per Mediaset. "È una vicenda inquietante – secondo Cestaro –. Innanzitutto, per come l'informazione ha trattato l'argomento, su cui, a giugno 2014, abbiamo fatto uno sciopero, cui ha aderito il 90% dei lavoratori Rai, unitamente alla faccenda del taglio di 150 milioni al budget aziendale, voluto da Renzi: una cosa illegittima, perchè avvenuta a piano industriale approvato e in corso di esercizio di bilancio preventivo approvato. Su quella scelta, abbiamo avviato un'azione legale presso il Tar del Lazio contro il ministero dello Sviluppo economico, ed entro marzo dovrebbe arrivare la sentenza. I mass media hanno sempre sostenuto che il sindacato difendeva i privilegi, che non capiva il nuovo che avanza, che bisognava fare un processo di risanamento, ma oggi sono gli stessi che inorridiscono all'idea che Ei Towers possa acquisire le torri Rai. E allora verrebbe da dire, cari amici, chi aveva ragione e chi torto? Penso che avevamo visto giusto. E poi lo stesso decreto della Presidenza del Consiglio su questo punto, checché ne dica Renzi, non è chiarissimo. Temo che ci troveremo di fronte a una lunga battaglia legale tra Ei Towers e Rai, al di là del fatto che l'idea che Rai detenga comunque il 51% delle azioni di Rai Way non è così tranquillizzante. Noi non mettiamo in discussione il fatto che ci possa essere un unico soggetto che gestisce l'insieme dei ponti radio, ma il problema è che questo avviene attraverso un soggetto privato, principale concorrente di Rai, che esercita un servizio pubblico, che a quel punto, se la cosa andrà in porto, governerà il sistema delle infrastrutture della Rai, e quindi del servizio pubblico".

"Se vogliamo parlare di governance della Rai, bisognerebbe che ci fosse un consiglio di amministrazione del tutto svincolato dalle forze politiche. Poi, al posto di un direttore generale, un amministratore delegato con poteri ampi. Inoltre, c'è un tema più generale: noi abbiamo ancora la commissione di vigilanza Rai, mentre sarebbe utile avere una commissione di vigilanza sul sistema radiotelevisivo nel suo insieme, cioè occorre che la Rai abbia la forza per continuare ad essere quella grandissima istituzione culturale che è. A tale proposito, c'è un progetto su cui il direttore generale sta andando avanti, che riguarda anche l'unificazione delle testate, su cui  abbiamo espresso un giudizio positivo. Non vorremmo che fosse solo una cosa di immagine e che poi la sostanza rimanesse quella di prima. Abbiamo indicato l'esigenza di alcuni processi di razionalizzazione nei modelli organizzativi della Rai, però è del tutto evidente che l'azienda deve essere messa nelle condizioni di fare fino in fondo il suo mestiere. Perciò, deve essere prioritaria l'assoluta autonomia della Rai", ha concluso Cestaro.