Il mondo collegato in streaming, i social network che annullano distanze e tempi, un’astronauta italiana nello spazio, una brillante scienziata a capo del Cernis. Questo è il 2015, ma ancora ci troviamo costretti a parlare di gap retributivo e differenze di genere, perché le differenze nel mondo del lavoro tra uomini e donne restano tante. Diverse le opportunità, le offerte di lavoro, differenti le possibilità di carriera e, a parità di ruolo, le retribuzioni.

Ne sanno qualcosa le lavoratrici dei settori della Filcams, mondo caratterizzato da una forte presenza femminile. Terziario, turismo, commercio e servizi, il 61% degli iscritti alla Filcams sono donne, e in particolare la loro presenza si concentra nel turismo e nei servizi. Proprio per questo nel 2012 la Filcams ha presentato una ricerca dell’Ebinter “Il gap retributivo e la differenza di genere”, nella quale si è cercato di fornire un quadro d’insieme della condizione lavorativa femminile nel settore del commercio e del terziario avanzato a livello nazionale, con particolare riferimento alle condizioni di disparità di trattamento retributivo tra uomini e donne.

Alla base della ricerca, l’ipotesi che, seppure a fronte di norme e contratti regolati sulla parità, vi sia nelle imprese del commercio e del terziario avanzato un ampio divario retributivo di genere. Tale gap sembrerebbe dipendere da dinamiche organizzative delle aziende, da comportamenti e stereotipi individuali, da fattori culturali, da discriminazioni, nonché dalla carenza delle cosiddette politiche di conciliazione lavoro-famiglia.

Forte la presenza femminile nel terziario: più del 40% nel commercio, supera il 55% nel settore alberghiero e pubblici esercizi, oltre il 70% nei servizi pubblici e privati. Nonostante questo, però, la quota di donne che riesce a raggiungere posizioni dirigenziali supera poco più del 10%. Non solo. Caratteristica importante del settore è la fortissima presenza di contratti di lavoro a tempo parziale, che sono quasi esclusivamente appannaggio delle lavoratrici. Complessivamente il 43,3% delle donne lavora part time, mentre gli uomini solo il 13%.

Se il part time fosse una scelta delle donne per conciliare lavoro e vita familiare, potremmo valutare positivamente questi dati, purtroppo negli ultimi anni, sono sempre più le aziende e le imprese che impongono alle lavoratrici orari ridotti, tra l’altro, sia nel commercio che nelle pulizie, con turni di lavoro frammentati e di difficile gestione. Tutti questi dati concorrono a determinare una differenza salariale di genere, in particolare per la difficoltà delle donne a svolgere maggiori ore di lavoro e straordinari, soprattutto a causa dell’assenze di politiche attive che le supportino per conciliare la vita familiare.

La forbice retributiva media tra uomini e donne nel settore del terziario risulta superiore al 35,5% nella maggioranza dei comparti. Questa precarietà ha il suo triste contraltare anche sul fronte contributivo per effetto delle riforme previdenziali, non ultima la riforma Fornero, come dimostra un altro studio della Filcams del 2014 in cui emergeva chiaramente come il Gender Gap peserà (e tanto) anche al momento del percepire la pensione.

La categoria, tramite la contrattazione, prosegue nel suo impegno per far si che le condizioni di lavoro permettano alle lavoratrici, di conciliare vita familiare e professionale, ed arrivare al pieno riconoscimento delle condizioni economiche tra uomini e donne, a parità di mansioni. Il mondo del lavoro ha bisogno di interventi strategici e politiche di pari opportunità a sostegno della conciliazione lavoro-famiglia; quali la diffusione e l’accessibilità dei servizi di assistenza ai figli piccoli, la possibilità di usufruire di congedi parentali, la diffusione di orari flessibili, diverse forme di welfare aziendale.

“Nonostante i nostri sforzi e la nostra capacità di innovazione sul fronte negoziale, il quadro generale resta desolante, figlio di un clima culturale complessivamente ostile alle donne e poco lungimirante anche in termini economici”, afferma Cristian Sesena segretario nazionale Filcams Cgil con delega alle Pari Opportunità. Se l'occupazione femminile fosse adeguatamente sostenuta, incoraggiata e supportata assisteremo ad un importante effetto moltiplicatore sul Pil. Ma ciò non accade da troppi anni. Lo stesso Jobs Act, al netto della retorica e dei copiosi sfoggi di semantica, muove ben poco.

Si continua a percepire il lavoro di cura come un problema da risolvere, lasciando in capo alla lavoratrice l'onere di decidere fra diversi compromessi e soluzioni, senza produrre quel cambiamento di mentalità che occorrerebbe: maternità ma anche assistenza di anziani e disabili, sono aspetti dell'esistenza delle persone (e non solo delle donne) che non possono determinare l'interruzione di una carriera, perdita di salario, disoccupazione.

Lo Stato deve fare la sua parte, e le imprese devono cimentarsi con nuovi modelli organizzativi e con un più avanzato sistema di welfare da regolare nell'ambito della contrattazione integrativa, anche utilizzando finanziamenti pubblici. Gli esempi non mancano. Le piattaforme rivendicative di Ikea e Eataly costruite secondo questi principi ispiratori si auspica consentano il raggiungimento di intese importanti nell'ottica della parità di genere e della conciliazione tempi di vita e di lavoro”.