Fin dalle prime fasi dell’emergenza Covid-19 è stato evidente che l’impatto della pandemia e delle misure per il suo contrasto avrebbero colpito duramente il settore dei trasporti. Il confinamento e le misure di distanziamento fisico e sociale hanno molteplici conseguenze sul modo di muoversi delle persone e delle merci. In molti casi si tratta di effetti congiunturali, di breve-medio periodo, in altri casi si tratta di effetti strutturali in cui spesso l’emergenza ha solo il ruolo di accelerare trasformazioni già in atto. Durante il lockdown, il calo della domanda è stato verticale. Non si ricorda in Italia una misura di limitazione dei movimenti delle persone così drastica come quella sperimentata tra marzo e maggio del 2020. Come noto, quanto accaduto ha obbligato a una sperimentazione, a tappe forzate e su larga scala, del lavoro e della didattica a distanza. Queste pratiche, mai diffusamente adottate nel nostro Paese, avranno certamente effetti duraturi. Se però questo si assocerà a una riduzione degli impatti della mobilità è ancora troppo presto per dirlo. È difficile prevedere, per esempio, se il lavoro agile, una volta messo a sistema, si tradurrà in una riduzione della mobilità complessiva e non in una sua mera riconfigurazione geografica e temporale.

Altrettanto difficile è prevedere se il fatto di stare più a casa e meno in ufficio comporterà una rivitalizzazione del commercio e dei servizi di vicinato, considerata la parallela crescita di fenomeni come il commercio online o la ristorazione a domicilio ai quali, almeno sino ad oggi, ha corrisposto una concentrazione del mercato legata al modello di business delle piattaforme digitali. Ma è altrettanto prematuro valutare quali saranno le conseguenze di un’ennesima spinta alla dispersione delle attività immobiliari nel territorio, probabilmente innescata dallo sganciamento tra il posizionamento di un’attività produttiva o commerciale rispetto ai luoghi di residenza dei lavoratori e dei clienti.

Gli effetti della pandemia di Covid-19 si prestano a valutazioni in chiaroscuro anche se guardiamo la riduzione degli impatti della mobilità attraverso l’utilizzo di modalità di trasporto con minori impatti specifici. Da una parte è immediatamente percepibile la domanda e, in parte, anche la concreta azione politica e amministrativa, di favorire l’uso della bicicletta. Le cosiddette piste ciclabili pop-up o d’emergenza sono una tendenza mondiale che ha coinvolto anche l’Italia: si tratta di un fenomeno molto positivo per la mobilità sostenibile perché consolida sia nell’opinione pubblica che nei decisori politici l’idea che la bici non costituisca una soluzione di nicchia, ma una vera e propria modalità di trasporto per muovere, senza impatti, una grande numero di persone in ambito urbano. Il decreto Rilancio, per esempio, ha previsto 70 milioni aggiuntivi per il 2020 per l’acquisto di biciclette, anche elettriche, e per l’introduzione della corsia ciclabile che permetterà nel breve periodo la rapida diffusione di percorsi per le biciclette a basso costo e di rapida esecuzione.

D’altro canto la spinta che spiega e giustifica questa tensione verso la mobilità attiva è legata al crollo dell’uso del trasporto pubblico e da una generalizzata diffidenza per la condivisione di viaggi e veicoli. Come noto, la condivisione dei servizi di mobilità può avvenire in due differenti modi: in sequenza, come nel caso di un servizio di carsharing o di una corsa in taxi, o simultaneamente, quando cioè si condivide un tragitto in metropolitana o in carpooling. È evidente che l’emergenza Covid-19 abbia ricadute rilevanti su questo modello d’uso a causa del distanziamento sociale, delle linee guida tecniche che discendono dall’applicazione di questo principio e della percezione della pericolosità che si è instaurata negli individui. Molti analisti si sono spinti a concludere che la mobilità come servizio condiviso, oggi in crisi come ogni forma di mobilità, non possa più essere considerata un’alternativa credibile all’auto di proprietà, almeno nei termini con cui si stava profilando negli ultimi anni. A questa visione, che tende ad assumere i tipici contorni di una profezia auto-avverante, si associa il convincimento che, proprio in ragione di questa tendenza determinata dalla pandemia, debba essere ulteriormente accelerata l’elettrificazione del parco circolante privato ed evitare un’ulteriore crescita delle emissioni. Le difficoltà del settore automotive europeo, già evidenti nel corso del 2019, e il rapido peggioramento degli ultimi mesi fanno presupporre che saranno ancora una volta le esigenze congiunturali di questo settore a orientare la destinazione delle risorse pubbliche dedicate alla mobilità sostenibile.

Un esito simile, esattamente come già avvenuto tante volte in passato, avrà l’effetto di bloccare ancora per molti anni la trasformazione del sistema dei trasporti attuale e migliorare la qualità della vita delle nostre città. Le alternative esistono, anche nell’ottica di garantire competitività del sistema produttivo italiano e i connessi livelli occupazionali, ciò che conta è non farsi travolgere dall’emergenza. Nel valutare quali politiche e misure adottare, è necessario traguardare obiettivi di medio-lungo periodo e quale assetto di mobilità intendiamo promuovere. L’obiettivo di mobilità sostenibile di questo Paese è ridurre l’uso dell’auto e quindi anche il suo tasso di proprietà, tra i più alti al mondo. Questa non può e non deve essere solo un’affermazione di principio, ma rappresentare lo snodo intorno al quale costruire le politiche e le misure che verranno adottate nei prossimi mesi quando sarà necessario decidere come utilizzare le risorse del Next Genereation Eu Found destinate alla ripresa dell’economia.

Massimo Ciuffini è responsabile Mobilità sostenibile per la Fondazione per lo sviluppo sostenibile