“Quaderni piacentini”, “La Terra vista dalla Luna”, “Ombre Rosse”, “Linea d’Ombra”, “Lo Straniero”, “Gli Asini”: solo i nomi di queste riviste - strumento militante per eccellenza - basterebbero a mostrarci lo spessore di Goffredo Fofi che si è spento a Roma, questa mattina (11 luglio), all’età di 88 anni all'Ospedale Cavalieri di Malta a Roma dove era stato ricoverato il 25 giugno a seguito della rottura di un femore.

Educatore, critico letterario e cinematografico (a lui si deve la consacrazione di Totò), saggista Fofi era nato a Gubbio il 15 aprile 1937. Ha attraversato decenni di storia italiana con uno sguardo sempre vigile e mai riconciliato, ponendo al centro della sua ricerca il rapporto tra arte e realtà sociale. È una figura che ha saputo unire la passione intellettuale all'impegno civile, il rigore dell'analisi alla curiosità per il nuovo, l'insofferenza verso l'accademia con l'urgenza di "stare dentro" i conflitti del suo tempo.

Tra i suoi libri più importanti, Prima il pane, Strana gente, Pasqua di maggio, Sotto l'ulivo, Le nozze coi fichi secchi. Nel 2008 ha fondato, insieme a Giulio Marcon, le Edizioni dell'Asino, ulteriore tassello del suo impegno per una cultura popolare, accessibile ma mai semplificata. Negli ultimi decenni ha diretto la rivista "Lo straniero", esempio raro di spazio critico indipendente, e ha continuato a collaborare con numerosi giornali, scrivendo di cinema, società, politica, letteratura. Sempre dalla parte degli ultimi, dei marginali, dei non ascoltati.

Fofi era di origini umili: figlio di un artigiano socialista, aveva preso la licenza magistrale nel 1955 e poi era partito per la Sicilia partecipando alle battaglie non violente di Danilo Dolci, con gli scioperi a rovescio e dedicandosi alla cura dei bambini più poveri. Poi si era trasferito a Torino, negli anni dell’emigrazione verso le fabbriche del Nord, esperienza da cui nacque uno dei suoi libri più importanti L’immigrazione meridionale a Torino (Feltrinelli, 1964).

Insomma: un Intellettuale inclassificabile (aveva fortissime venature libertarie con sensibilità anche cristiane), grande “rompicoglioni” perché questo è il ruolo che assegnava all’intellettuale e dunque a sé stesso, diffidente verso le istituzioni ma mai individualista, pungolo costante verso la sua casa, quella sinistra a cui non ha mai risparmiato strali e ire.