È tempo di agire per rendere reale l’affermazione contenuta nel titolo scelto dall’Organizzazione delle nazioni unite per l’edizione di quest’anno della Giornata internazionale della copertura sanitaria universale. Era il 2012 quando l’Onu decise di istituire un appuntamento annuale per sottolineare come la salute sia un diritto universale, proprio di tutti i cittadini e le cittadine del mondo, e squadernare quanto lontani siamo dal raggiungere davvero l’effettività di questo diritto.

Diritto negato nel mondo

Sono passati solo tre anni da quando il Coronavirus ha fatto strage di uomini e donne di tutte le età e in tutte le latitudini, e a esser più colpite sono state nazioni e persone più povere. E non è un caso, perché chi ha meno, ha ridotte possibilità di accesso alle cure. Basti ricordare quanto fu difficile per i paesi dell’Africa o dell’Asia accedere ai vaccini, nonostante la campagna per la non brevettabilità sia stata imponente. 

E nonostante la ricerca per arrivare ai sieri immunizzanti sia stata largamente finanziata dagli Stati. In realtà l’accesso alle strutture e ai presidi sanitari, così come l’accesso a farmaci e vaccini, ancora oggi non è per tutti e tutte. È l’Organizzazione mondiale per la sanità ad affermare che la metà della popolazione mondiale non ha accesso alle cure.

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Tagli alla sanità? Si vive di meno

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Diritto negato anche troppo spesso in Italia

Lo afferma l’Ocse: il diritto alle cure troppo spesso è negato anche in Italia, nonostante le eccellenze che certo ci sono. Tagli e disinvestimenti, non solo economici, nel Sistema sanitario nazionale, infatti, si fanno sentire. È tanto vero che per la prima volta l’aspettativa di vita in Italia diminuisce.

Secondo il Rapporto Health at a Glance, una sorta di panoramica sulla salute mondiale redatto dall’Ocse, il Bel Paese retrocede passando dal 3° al 9° posto nella classifica dei paesi più longevi, inchiodandoci a 82,7 anni di aspettativa di vita. E se guardiamo alle diverse regioni si scopre che chi nasce in Campania ha una aspettativa di vita di quasi tre anni inferiore rispetto a chi nasce in Trentino.

Il futuro preoccupa

In Italia la spesa pro capite in salute è ben al di sotto della media europea: quasi la metà rispetto alla Germania e un terzo rispetto alla Francia. Mancano professionisti sanitari, soprattutto infermiere e infermieri, e quelli che ci sono spesso fuggono all’estero per impraticabilità del campo. Ma il Governo Meloni sembra non accorgersene, anzi mente. Proprio in queste ore la Commissione Bilancio del Senato è occupata ad esaminare la legge di bilancio. 

A leggere il titolo del capitolo sul Ssn ci sarebbe da festeggiare (“Potenziamento del sistema sanitario”). Ma purtroppo si tratta si parole che nascondono il vuoto. Dice, infatti, Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil: “La realtà dei numeri mostra un incremento del fabbisogno sanitario solo apparente. Non solo è assolutamente inadeguato a rispondere ai bisogni urgenti della sanità pubblica, come peraltro rimarcato sia dalla Corte dei Conti che dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio, ma non è sufficiente neanche a compensare gli effetti dell’inflazione, mentre dovrebbe coprire i rinnovi contrattuali del personale sanitario e le ulteriori nuove spese vincolate: liste di attesa, privato convenzionato, prestazioni aggiuntive, eccetera”.

Per la sindacalista “ciò significa che le Regioni avranno meno risorse a disposizione rispetto a quelle di oggi già insufficienti”. E inoltre: “È allarmante il rapporto tra Fondo sanitario nazionale e Pil che, dal 6,3% del 2024 scende ulteriormente al 6,1 nel 2025 fino al 5,9% nel 2026: il valore più basso degli ultimi decenni. È la conferma della volontà politica del Governo Meloni di disinvestire e quindi, nei fatti, di proseguire nello smantellamento del Ssn e nella privatizzazione della salute”.

Restringere il perimetro pubblico

In realtà c’è una coerenza tra il pensiero politico e le azioni di chi ci governa. E l’elemento di coerenza sta nella progressiva e costante riduzione del pubblico a favore del privato. Non è un caso che le risorse – scarse – appostate in manovra per la riduzione delle liste di attesa sono destinate alla sanità privata. Ma così facendo si mina lo spirito della Costituzione e quello della legge istitutiva del Ssn del 1978.

Riflette Serena Sorrentino, segretaria generale della Fp Cgil: “Sulla base delle indicazioni che portarono le Nazioni Unite nel 2012 ad approvare la risoluzione che doveva realizzare progressi verso la copertura universale, nel nostro Paese siamo ancora a rincorrere i principi ispiratori di quella dichiarazione: equità nella salute, accesso universale a un’assistenza centrata sulla persona e sulla popolazione, comunità sane (ovvero prevenzione). In particolare sia sul fronte dell’equità che dell’accessibilità le azioni del Governo, che prevedono tagli al Fondo sanitario nazionale e aumento dei budget a favore della privatizzazione della cura, vanno in direzione opposta”.

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Il nodo del personale

Lo ricorda l’Ocse: per rispondere ai bisogni di salute, serve personale e servono strutture. In Italia ci sono 4,1 medici ogni 1000 abitanti contro i 3,7% della media Ocse: peccato, però, che sono tanti nelle specializzazioni più remunerative per attività privata e assai pochi per quelle che remunerative non lo sono, a cominciare dalla medicina generale.

Davvero male siamo messi a infermieri: sono 6,2 ogni 1.000 abitanti, contro i 9,2 della media Ocse. Da noi i posti letto sono 3,1 ogni 1.000 abitanti, la media Ocse ne conta 4,3 mentre in Germania sono 7,8 e in Francia 5,7. E il governo nulla fa per correggere queste insufficienze. Ricorda Barbaresi: “Totalmente sbagliate le scelte sul personale: alla carenza di medici e infermieri, a salari inadeguati e a tempi di attesa da ridurre, non solo si conferma il tetto alla spesa sul personale, ma l’esecutivo sembra non avere nessuna strategia, se non quella di far lavorare di più con prestazioni aggiuntive, dunque ricorrendo al ‘cottimo’ in sanità”.

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Rogo in ospedale, tre vittime. Cgil: grande impegno di tutti

Incendio a Tivoli (Roma), evacuata la struttura. I sindacati rimarcano la “straordinaria prova di solidarietà” e indicano come fronteggiare l’emergenza

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Non serve piangere sul latte versato

La cronaca è davvero impietosa. Se non fosse stato per la professionalità e la passione di medici e infermieri, il bilancio dell’incendio all’Ospedale di Tivoli poteva essere assai più drammatico. L’inchiesta della magistratura accerterà responsabilità e colpe, certo è che qualcosa non ha funzionato. A cominciare dalle mancate manutenzioni degli impianti.

“In questi giorni di grande dolore – afferma la segretaria confederale - è doveroso esprimere il più profondo cordoglio e vicinanza alle famiglie delle vittime e a tutta la comunità. Ma oltre alla solidarietà servono fatti per garantire la sicurezza degli ospedali e di tutte le strutture sanitarie, per assicurare prevenzione e assistenza territoriale, per valorizzare il personale, per garantire le migliori cure e assistenza a tutti: il tempo di agire è adesso e occorre farlo prima che sia troppo tardi”.

Non solo questione di soldi

Il nodo è proprio questo e lo esplicita Sorrentino: “Esiste un problema di arretramento culturale sia sul terreno della prevenzione che dell’integrazione, oltre che di abbandono definitivo dell’approccio clinico ‘one health’ e di prossimità della cura”. E, infatti, aggiunge la segretaria della Fp Cgil, “il governo disinveste nella sanità territoriale e nella riforma che prevedeva case di comunità, gestione delle cronicità in strutture protette e assistite, domicilitarità”. 

Non solo: “mortifica professionisti e personale sanitario con la vergognosa penalizzazione previdenziale introdotta dall’art 33 della legge di bilancio, mal corretta dalle modifiche dello stesso governo dopo le mobilitazioni del personale e che prevedono addirittura la copertura con pari taglio al Fsn. Non ci sono adeguate risorse per assunzioni e contratti e si incentiva l’aumento dell’orario di lavoro, anziché migliorare le già estenuanti condizioni di lavoro degli operatori”.

La conclusione della dirigente sindacale è netta, così come netto è l’impegno: “La privatizzazione del sistema di cure è già una realtà, se consideriamo la quota di Fsn che va ai gestori privati accreditati e l’aumento della spesa privata delle persone ha superato i 40 miliardi di euro. Per noi la mobilitazione per salvare il servizio sanitario universale deve continuare".