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La proposta del Governo Meloni di utilizzare il Tfr per consentire l’uscita a 64 anni viene giudicata inefficace dalla Cgil, che in una nuova analisi smonta la misura e accusa l’esecutivo di aver creato soglie “irraggiungibili” per la gran parte dei lavoratori.
“Il governo, da quando è in carica, ha fatto crescere l’importo soglia per il pensionamento anticipato nel sistema contributivo di oltre 500 euro e oggi prova a spacciare per soluzione un rimedio a un problema che esso stesso ha creato”, attacca la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione.
Per la dirigente sindacale, “il vero nodo è quello della precarietà e dei salari: fissare una soglia così alta significa rendere impossibile l’uscita a 64 anni alla stragrande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. Basterebbe fare i calcoli: con retribuzioni medie o basse la soglia non è raggiungibile nemmeno dopo 40 anni di contributi”.
L’analisi Cgil: soglie troppo elevate e contributi impossibili
Secondo i calcoli dell’Ufficio previdenza della Cgil, il governo ha alzato progressivamente le soglie di accesso alla pensione anticipata: nel 2025 saranno pari a 1.616,07 euro (+306,65 euro rispetto al 2022, +23%) e nel 2030 raggiungeranno 1.811,78 euro (+502,36 euro rispetto al 2022, +38%).
“Solo questo incremento richiede un montante contributivo aggiuntivo di oltre 128.000 euro – spiega Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali della Cgil –, un traguardo irraggiungibile per chi ha carriere discontinue e salari medi o bassi, che richiederebbe una retribuzione aggiuntiva di 388.953 euro al 2030”.
Il nodo del Tfr: “Salario differito, non una soluzione”
La Cgil ha anche verificato l’impatto dell’utilizzo del Tfr come integrazione al montante contributivo. Anche includendo questa variabile – sia calcolata su metà degli anni di contribuzione sia sull’intero arco lavorativo – nella quasi totalità dei casi i valori restano inferiori alle soglie fissate per il 2025 e il 2030 e non si riesce a superare i limiti previsti. Con l’unica eccezione dei 40 anni di contribuzione, dove si supera la soglia 2025 e, solo utilizzando tutto il Tfr, anche quella del 2030
Per la Cgil l’integrazione del Tfr non rappresenta una soluzione reale al problema dell’accesso anticipato alla pensione, “ma in realtà la vera proposta sarebbe il superamento dell’importo soglia, se non legato a importi coerenti con le retribuzioni nel nostro Paese”.
Cigna sottolinea che “la maggioranza dei lavoratori non riesce a raggiungere la soglia: con 8.000 euro annui di retribuzione, dopo 40 anni la pensione stimata è di appena 505 euro al mese; con 20.000 euro si arriva a 1.263 euro; solo chi ha redditi elevati supera i requisiti, mentre chi lavora tutta la vita con salari medi resta comunque sotto le soglie. Persino con la retribuzione media del settore privato, pari a 23.700 euro annui, dopo 40 anni la pensione stimata è di 1.496 euro, ben al di sotto della soglia prevista per il 2030”
Bocciatura secca
Da qui la bocciatura secca del sindacato. “Il Tfr è salario differito, parte integrante della retribuzione: utilizzarlo in questo modo significa intaccare diritti certi senza risolvere nulla”, ribadisce Ghiglione.
E aggiunge: “Il governo aveva promesso il superamento della legge Fornero, ma nei fatti non solo ha azzerato la flessibilità in uscita, ha addirittura aggravato una legge che continua a evocare solo negli slogan. Anziché eliminare soglie impossibili le ha alzate, e adesso vorrebbe trovare soluzioni. Noi continueremo a batterci per una vera riforma previdenziale che assicuri equità, giustizia sociale e una pensione dignitosa per tutte e tutti, costruendo una pensione di garanzia per i più giovani”.