Nonostante il taglio pesante effettuato sulla rivalutazione delle pensioni in legge di bilancio – 3,5 miliardi nel 2023 (ma se si considera il triennio, le mancate rivalutazioni ammonteranno a 17 miliardi) –, il governo continua con i suoi slogan da campagna elettorale. L’esecutivo Meloni, infatti, è riuscito a intestarsi l’aumento delle pensioni, prendendo spunto dal fatto che con il primo marzo l’Inps ha disposto i pagamenti degli assegni rivalutati, comprensivi degli arretrati per i mesi di gennaio e febbraio.

Insomma: sul capitolo previdenza continuano le bugie. Bisogna innanzitutto ricordare che il taglio riguarda anche le pensioni che non si possono definire alte: stiamo sostanzialmente parlando degli assegni di lavoratori dipendenti, frutto di una vita di lavoro e che hanno ricevuto una rivalutazione di gran lunga inferiore a quella che dovevano percepire secondo la legge che sarebbe entrata in vigore a gennaio 2023, se non ci fosse stato il taglio previsto dall’esecutivo.

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Pensioni, il governo non si «impegna»

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Questo Governo, insomma, continua a intestarsi un impegno sulla previdenza che non c’è. In realtà secondo Christian Ferrari, segretario confederale Cgil, “il giudizio sul confronto aperto nelle ultime settimane sul capitolo previdenza è radicalmente negativo. Si sta rilevando un generico tavolo di ascolto, privo di carattere negoziale, con tempistiche assolutamente incerte”. 

Altro che superamento della legge Fornero. Da quel tavolo non è arrivata nessuna risposta, nemmeno sul ripristino dei requisiti di Opzione donna in vigore fino allo scorso dicembre”, aggiunge il segretario confederale. Come è noto per la Cgil “Opzione donna è una misura parziale e particolarmente penalizzante, ma un intervento correttivo avrebbe rappresentato una prima risposta anche utile per dare credibilità al confronto sulla previdenza”.

Se neppure su questo punto ci sono risposte, “c'è davvero da dubitare sulla reale intenzione di un esecutivo - conclude Christian Ferrari - che sembra molto lontano da intervenire su quello che servirebbe: una vera riforma del nostro impianto previdenziale, attraverso l’uscita flessibile a partire dai 62 anni, il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori, la pensione di garanzia per i giovani e per chi ha carriere discontinue e povere, il riconoscimento del lavoro di cura e della differenza di genere, l’uscita con 41 anni di contributi senza limiti di età e una maggiore tutela del potere di acquisto dei redditi da pensione”.