Vi ricordate gli esodati? A volte ritornano: questa volta però sono “solo” esodate. Vale a dire, donne lavoratrici penalizzate dal ridimensionamento drastico in legge di bilancio di una misura – Opzione donna – che, seppur con molti limiti, qualche risposta l’aveva data. La protesta dei sindacati si è fatta sentire nell’incontro dello scorso 19 gennaio: al governo sono stati chiesti interventi correttivi. Ma ora a scendere in piazza, il prossimo 8 febbraio, ci saranno i comitati Opzione donna che erano nati vicino a quelli degli esodati. Lo stesso giorno nel quale è previsto il prossimo tavolo, che sarà dedicato a donne e giovani.

“Siamo consapevoli che Opzione donna non sia una risposta adeguata, vista la necessità di riconoscere realmente il lavoro di cura e più in generale il lavoro delle donne, ma è assolutamente sbagliato averla azzerata”, commenta Ezio Cigna, responsabile politiche previdenziali della Cgil.

Come si legge nell’analisi dell’Osservatorio previdenza della confederazione di corso d’Italia, infatti, saranno solo 870 le donne che potranno accedere alla nuova misura

Potrà infatti accedere alla misura solo chi ha compiuto 60 anni di età nel 2022 (prima erano 58) e si trovi in una di queste condizioni: caregiver, invalida al 74%, licenziata o con tavolo di crisi aperto in azienda. Va ricordate che, con tutti i limiti, grazie a opzione donna nel 2021 sono andate in pensione 20.681 donne e nel 2022 23.812. Nel 2023 saranno dunque 20 mila in meno.

Ma la cosa che non è comprensibile, aggiunge Cigna, “è come il governo abbia deciso di non dare nemmeno la possibilità a una donna di poter scegliere. Una pensione con Opzione donna – essendo calcolata interamente con il contributivo – non è un costo aggiuntivo per il sistema, ma un anticipo di cassa”.

All’incontro del 19 però il governo non ha dato risposte né sugli interventi da fare, né tanto meno sulle scelte da adottare in prospettiva. Non sono stati indicati tempi certi né un quadro definito di risorse, ma si è solo rinviato all’8 febbraio per un approfondimento su giovani e donne.

Per il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari, serve “un vero tavolo di confronto e non un generico tavolo di ascolto, privo di carattere negoziale, con tempistiche lunghe e incerte. Abbiamo sottolineato alla ministra come il tema della precarietà del lavoro sia direttamente collegato a quello della previdenza, non solo perché il lavoro precario non potrà garantire in futuro una pensione dignitosa, ma anche perché solo un allargamento della base contributiva potrà assicurare, in prospettiva, maggiore equilibrio e sostenibilità al nostro sistema pensionistico”.