Strumento universale e inclusivo di contrasto alla povertà o metodo di elargizione caritatevole con controllo e sanzione moralista? L’idea che la povertà sia determinata da più cause – a cominciare dalle politiche economiche che inducono diseguaglianze e restringono il welfare ed è quindi questione sociale – o che sia colpa del singolo che non è stato capace di affermarsi e che quindi va sanzionato? Le questioni sollevate dal reddito di cittadinanza si possono ridurre a questi due interrogativi. E a seconda delle risposte che si danno, si determinano le scelte conseguenti.

“Ciò che davvero stride a leggere la manovra – afferma Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil – è che mentre si elargiscono regali consistenti e iniqui attraverso flat tax e condoni, contemporaneamente si elimina l’unico strumento di contrasto alla povertà”.

La povertà – aggiunge la dirigente sindacale – è un fenomeno multidimensionale e per questo richiede una presa in carico complessiva. Il governo dipinge il percettore di reddito di cittadinanza come truffatore o fannullone. E così, invece di assumere la questione nella sua complessità garantendo, oltre che il contributo economico, la presa in carico e il supporto da parte dei servizi pubblici, fa un'operazione assolutamente mediatica, propagandistica e punitiva nei confronti di chi è in difficoltà”.

Quanta povertà c’è?

Secondo le ultime statistiche Istat, il tasso di povertà assoluta nel nostro Paese ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 15 anni. A esser sotto tale soglia sono 5,6 milioni di uomini e donne, cioè ben il 7,5% delle famiglie. Inoltre il 10% di queste ultime sono residenti al Sud e – questo il numero più sconcertante e allarmante –ben 1,4 milioni di minori si trova in questa condizione. Davvero è colpa loro? A questi numeri, poi, vanno aggiunti quelli della povertà relativa: chi vi è dentro certo non se la passa molto bene.

Ma se davvero si vuol provare a ragionare seriamente, occorre considerare che, è sempre l’Istat a parlare, “il livello raggiunto dalla povertà assoluta nel 2021 (7,5%) è tra i più elevati dall’anno in cui si è iniziato a misurare questo indicatore".

Guardando all’ultimo quinquennio, nel 2017 l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta era del 6,9%, in forte crescita sull’anno precedente (6,3%) e nettamente superiore a quella media del quadriennio precedente (2013-2016), quando risultava stabile e pari al 6,1%.” Insomma, gli anni in cui si sono affermate le politiche di riduzione della spesa pubblica dedicata al welfare sono gli anni che hanno portato all’aumento dell’incidenza della povertà.

Di fronte a questi numeri, e alla prospettiva che peggiorino visto il caro energia e l'inflazione – sottolinea Barbaresi – occorrerebbe rafforzare tutti gli strumenti di contrasto alla povertà. Il sostegno al reddito serve, ma non basta. Occorrono azioni per prevenire le situazioni di disagio e per contrastare la povertà: dalle politiche abitative – a cominciare dallo stanziamento di risorse per il sostegno agli affitti e per l’edilizia residenziale pubblica -, fino agli interventi sull’abbandono scolastico, sulle politiche di assistenza e sulla non autosufficienza.”

Il Reddito di cittadinanza

L'introduzione del Reddito di cittadinanza ha rappresentato una tappa significativa nell'ammodernamento del welfare del nostro Paese e secondo l'Inps senza reddito nel 2020 ci sarebbero stati un milione di individui poveri in più". Lo ha detto il capo del servizio struttura economica della Banca d'Italia, Fabrizio Balassone, in audizione alla Camera sulla manovra.

È bene poi ricordare che uno strumento analogo esiste in gran parte di Europa e l’Italia è arrivata buon’ultima a dotarsene. Ricordiamo che per averne diritto occorre avere un Isee inferiore a 9.360 euro e un reddito familiare inferiore a 6 mila euro annui. Tutti i beneficiari occupabili devono essere inseriti in percorsi di inserimento lavorativo e accettare almeno una di due offerte di lavoro definite congrue, anche se per impieghi a tempo parziale o con contratti a termine di almeno tre mesi.

Chi rifiuta la prima offerta di lavoro congrua subisce una decurtazione dell’importo del Rdc pari a cinque euro al mese. Chi rifiuta anche la seconda, perde l’intero beneficio. Chi presenta la richiesta di Rdc deve firmare una dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, e chi poi lo riceve deve andare almeno una volta al mese al centro per l’impiego.

Cosa prevede la legge di bilancio

Con la manovra di bilancio, tuttavia, dal 1° gennaio del 2024 il Reddito di cittadinanza è abolito. La povertà, invece, no. A partire dal 1° gennaio del 2023 nessun nucleo familiare potrà riceverlo per più di otto mesi, tranne quelli in cui sia presente un minore, un disabile, una persona con più di 60 anni, che quindi lo manterrà ma solo per i restanti quattro mesi dell'anno. La perdita del sostegno riguarderà anche nuclei in cui i componenti sono occupati ma nonostante il lavoro sono in povertà. Si passa, quindi, da una misura universale condizionata alla situazione economica a una misura "categoriale".

Dal 1° gennaio chi percepisce RdC è obbligato, pena la decadenza, a frequentare corsi di formazione e/o riqualificazione professionale per sei mesi. Evidentemente chi ha scritto la manovra non sa che queste attività sono già previste dai percorsi di inclusione lavorativa personalizzati - Patti per il lavoro – e dal programma Gol i cui beneficiari sono per il 21% percettori di RdC. Ovviamente chi rifiuta la prima offerta di lavoro sarà fuori dal beneficio.

"Esattamente il contrario di ciò che bisognerebbe fare – si infervora Barbaresi  –. Noi riteniamo, invece, che bisognerebbe adeguare gli importi degli assegni all’inflazione. E poi correggere alcune storture, a cominciare dalle penalizzazioni nei confronti delle famiglie numerose o da quelle nei confronti dei migranti. Infine, bisognerebbe rafforzare i servizi sociali territoriali e intervenire su tutte le politiche di prevenzione e contrasto alla povertà e che attengono alla casa, all’educazione, all’inclusione".

"Quello che fa il Governo invece – continua la sindacalista – è un inaccettabile e vergognoso attacco a chi vive in condizioni di bisogno. Non si contrasta la povertà ma si abbandonano i poveri alla loro condizione, tanto da farli decadere dal RdC dopo otto mesi, a prescindere dal fatto che le famiglie siano ancora in povertà o che siano stati attivati o meno altri interventi o servizi a loro sostegno. Tutto ciò in una logica punitiva e colpevolizzante di chi vive in povertà”.

Occupabili?

Prima ancora di provare a definire questa categoria, occorre fare un passo indietro, forse due. Il primo, secondo la segretaria Cgil, è questo: “Se i determinanti della povertà sono sociali e complessi, allora non si può che contrastare il fenomeno con strumenti molteplici, e allora la distinzione tra non occupabili e presunti tali è sbagliata, se non si interviene sulle cause delle difficoltà. E questo è tanto più vero visto che una quota di percettori del RdC un’occupazione ce l’ha”.

E poi cosa vuol dire occupabile? Che dal 1° settembre 2023 è pronto per loro un lavoro con un’assunzione ai sensi di un contratto collettivo nazionale di lavoro e con un salario tale da consentire l’uscita dalla povertà? Un lavoro dignitoso e non sfruttato? Aggiunge Barbaresi: “Cosa succede se da anni sei escluso dal mercato del lavoro e sei un ultracinquantenne con una scolarità bassissima e competenze lavorative altrettanto basse, mentre magari nel manifatturiero si cercano tecnici o operai specializzati o nel turismo cuochi e camerieri, meglio se giovani? La verità è che non basta ragionare solo sull’offerta di lavoro, ma occorre farlo anche sul fronte della domanda da parte delle aziende”. 

Cosa dicono i numeri

Secondo gli ultimi dati forniti da Anpal aggiornati allo scorso 30 giugno, la platea di individui beneficiari di RdC indirizzati ai servizi per il lavoro al 30 giugno 2022 era pari a 919 mila persone. Di questi beneficiari di RdC, quelli che sono soggetti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro sono pari a 660 mila persone, il 72%.

Secondo il Governo, quante persone da settembre non avranno nemmeno i 500 euro (in media a nucleo familiare) del Reddito? La relazione tecnica della legge di bilancio quantifica in 404 mila (circa il 40%) le famiglie che perderebbero il sostegno economico dopo otto mesi. Analoga stima ha fatto Ufficio Parlamentare di Bilancio (38,5% nuclei) in audizione alla Camera, individuando, prevedibilmente, una maggiore incidenza nei nuclei monocomponenti (73%) e in quelli composti da due persone (35%) che non riceveranno più il sostegno a settembre 2023. L’Istat, sempre nel corso dell’audizione in Commissione Bilancio, ha ipotizzato circa 846 mila persone soggette all’interruzione del RdC, un terzo dei beneficiari tra i 18 e i 59 anni, un quinto dei totali.

Un futuro che fa paura

Infine, una domanda è inevitabile. Cosa succederà dal 1° gennaio 2024? Chi, pur considerato occupabile, un lavoro non l’avrà trovato, dovrà arrangiarsi. Ai cosiddetti non occupabili, a quel che si capisce, sarà fornito un contributo, non si sa quanto consistente, spendibile solo per determinati acquisti e in determinati esercizi. Una sorta di lettera scarlatta contemporanea, a sancire la colpa di esser povero, con lo Stato etico e compassionevole a elargire una carità di cui esser grati, invece che costruire  strumenti universali per garantire una vita dignitosa e la possibilità di uscita dalla miseria. Insomma, avanti tutta verso il Medioevo.

 

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