È un fenomeno complesso quello della povertà, multidimensionale. Sono diverse le cause che trascinano in questo gorgo uomini e donne, diversi e molteplici gli interventi che occorre predisporre per contrastarlo. E studiare il fenomeno sui libri è indispensabile ma forse non sufficiente, occorre confrontarsi davvero con chi non ce la fa ad arrivare a fine mese e non solo. Con tre donne, impegnate nel Forum Differenze e Diversità, la discussione corre fluida, punti di vista diversi ma un comune sentire e ragionare consentono di andare oltre la superficie dei numeri.

“I poveri oggi sono giovani fino circa ai 35 anni, sono bambini, sono donne, a volte sono anziani soli, sono migranti”. Lo racconta Nunzia De Capite, è una sociologa e svolge il proprio lavoro in Caritas e per questo nel rispondere alle domande pensa a quanti incontra nei centri e agli sportelli dell’Associazione. È un fenomeno che si trasforma, e chi entra in povertà difficilmente ne esce.

“Le caratteristiche delle persone in povertà sono cambiate nel tempo e non a causa del Covid. Ma il virus ha fatto aumentare e di tanto i poveri”. Lo dice Patrizia Luongo, ricercatrice del Forum Diversità e Differenze che sottolinea “Le due caratteristiche più evidenti di questo cambiamento sono da un lato l’inversione del fattore età, prima erano colpiti gli over 65, oggi invece i giovani e i minori. E poi è aumentato notevolmente il tasso di povertà lavorativa. Il lavoro in molti casi non assicura più dalla povertà. Il Covid ha ampliato le distanze tra chi è povero e chi non lo è”. E poi, sottolinea Luongo, la pandemia è servita a svelare e a sottolineare che questo è un fenomeno dalle tante facce, certo quella economica è fondamentale ma a determinarla contribuiscono la povertà educativa, quella abitativa, ecc.

De Capite, raccontando ciò che osserva agli sportelli della sua associazione, che non solo esiste una cronicità della povertà, persone che da 5 anni e più si rivolgono a Caritas, ma anche – con l’arrivo del Coronavirus – l’arrivo di uomini e donne mai visti che d’improvviso si sono trovati e non farcela più e fanno parte di famiglie giovani, in cui almeno un componente lavora e ha un reddito superiore ai 500 euro al mese “ma non ce la fanno più”. Ed Eleonora Romano, economista del ministero dell’Economia e Finanze e misurare tutto ciò: “Tra 2018 e 2019 era stato registrato un miglioramento, rispetto agli anni precedenti, dell'incidenza della povertà assoluta. Nell'anno della pandemia tale incidenza è invece aumentata in modo significativo, raggiungendo il valore più alto, pari a 7,7%, dal 2005 ". 

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Ed è sempre Romano a mettere in evidenza come dal 2012 in poi il fenomeno dell’impoverimento riguarda sempre più lavoratori e lavoratrici. Insomma, a determinare l’impoverimento è la natura e la struttura del nostro mercato del lavoro: precariato diffuso e in aumento esponenziale dal 2021, part time involontario che colpisce prevalentemente le donne, salari troppo bassi e in perdita di potere di acquisto. E non è tutto. L’aumento della povertà arriva da lontano, dalle crisi del 2008/2009 e poi 2012, ma la ripresa che si è determinata dopo quelle crisi “è stata diseguale”. Così come profondamente diseguale è stata la ripresa del 2021. I recentissimi dati dell’Istat sono lì a testimoniarlo, nell’anno del balzo del Pil come non si vedeva da tempo, il numero di poveri assoluti è rimasto di 5,6 milioni, e ci saremmo aspettati una diminuzione. E, invece, sono addirittura aumentati quanti si trovano in povertà relativa.

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Tra i determinanti della povertà, ricorda l’economista, ve ne un altro che troppo spesso viene dimenticato, “la cittadinanza. Quei nuclei familiari al cui interno vi almeno un non cittadino italiano hanno un tasso di povertà assai più alto”, così come i bassi livelli di istruzione sono tra le concause dell’impoverimento o l’elevato costo delle abitazioni. Come anche la presenta di un disabile in famiglia. E per fortuna, sottolineano le nostre tre interlocutrici, finalmente anche l’Italia si è dotata di uno strumento di contrasto al fenomeno, il Reddito di Cittadinanza, e che nel 2020 è stato introdotto anche il Reddito di Emergenza, altrimenti la situazione sarebbe ben più grave.

Ma i soldi, i contributi economici non sono tutto. “Quello che succede prima e quello che succede dopo la caduta in povertà – afferma De Capite – indispensabile per ridurre il rischio di povertà e per aiutare l’uscita, attiene ad altre politiche pubbliche”. Insomma, se si è povero ricevere un sussidio economico è indispensabile ma non è sufficiente. Servono servizi, serve un welfare pubblico in grado di prendere in carico chi è in difficoltà. Serve un diverso mercato del lavoro sapendo, che esiste un a quota di persona “non occupabili”. “Servono politiche predistributive” sostiene Luongo, “che fanno la differenza perché agiscono sulle cause delle diseguaglianze. Finché non si agisce su quelle il rischio è che sul lungo periodo le politiche distributive divengano inefficaci. Il punto è aiutare a uscire dalla condizione di disagio”.

E le ragioni della insufficienza o quasi della assenza delle politiche predistributive per il Forum Diseguaglianze e Diversità sono tre: “La prima è l’inversione a U della politiche pubbliche, cioè la decisione di lasciar fare tutto al mercato con lo stato che interviene solo per correggere eventuali fallimenti; lo sbilanciamento nel mercato del lavoro del potere tra capitale e lavoro; infine un cambiamento del senso comune, cioè alla ricchezza – comunque si sia determinata – si attribuisce un merito e al rovescio, si attribuisce un demerito quando non una colpa, alla povertà”.

Come intervenire? Innanzitutto, cambiando il mercato del lavoro, riducendo quel divario tra capitale e lavoro, la precarietà, i bassi salari. Ricostruendo un sistema di welfare pubblico universale che prenda in carico il lavoro di cura dalla nascita alla fine della vita. Dando vita ad un sistema di istruzione e formazione che non perda nessuno per strada. Cambiando il senso comune che considera i poveri il problema e non la povertà. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza sarà in grado di rispondere a questi bisogni e queste vere e proprie sfide? La risposta la suggerisce Eleonora Romano: “Il grande potenziale offerto dalle ingenti risorse del Next Generation EU per il potenziamento delle infrastrutture, si pensi al caso degli asili nido, potrà essere sfruttato a pieno se tali investimenti saranno accompagnati dalla destinazione di risorse nazionali al sostenimento delle relative spese di gestione".

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