Sono anni di turbolenza per i sistemi sanitari. La pressione dell’emergenza ha spinto i sistemi sanitari a funzionare con ritmi serrati, ripensando i modelli organizzativi in tempi rapidi. Un momento convulso, tuttavia, sostenuto da notevoli risorse finanziarie nazionali ed europee volte a supportare il cambiamento e l’erogazione dei servizi sanitari “tradizionali” insieme ai nuovi servizi (tamponi, green pass, tracciamenti…) dell’epoca pandemica.

Ad esempio, sono comparsi i contact tracers ovvero operatori di sanità pubblica (non solo medici) con il compito di individuare e rintracciare i contatti dei positivi al Covid per notificare le procedure di quarantena. Attività già svolte dai dipartimenti di prevenzione la cui rilevanza ha portato a creare dei veri e propri ruoli (i contact tracers appunto) oppure nuove forme organizzative delle cure primarie volte a rafforzare l’assistenza a domicilio e la continuità assistenziale (le Usca). Contact tracers e Usca sono solo due delle modifiche più eclatanti relative ai ruoli e alle competenze immesse nel sistema sanitario italiano per far fronte alla pandemia. Ci sono tante altre modifiche che coinvolgono, o dovrebbero coinvolgere, ampie fasce di lavoratori e che riguardano la sfera delle competenze.

Competenze nuove e da reinventare
In questo nuovo scenario un rilievo prioritario va dato alle competenze legate alla nuova architettura digitale dei servizi. 
 La trasformazione digitale in corso richiede che oltre agli aspetti tecnologici, ci debbano essere investimenti per formare e sensibilizzare i professionisti all’uso della tecnologia e del digitale, per colmare il cosiddetto digital divide ovvero la mancanza di conoscenza e capacità di utilizzo delle tecnologie digitali che riguarda non solo la popolazione ma anche (e forse in primis) i professionisti che devono usarla nel quotidiano e promuoverla tra gli utilizzatori dei servizi sanitari.

Altre competenze che sono emerse come fattori chiave per supportare il cambiamento in atto dei sistemi sanitari sono quelle etichettate come capacity building ovvero la capacità di guidare le organizzazioni per costruire dei nuovi modi di lavorare lungo l’intera piramide aziendale. La rilevanza di questo tipo di competenze è legata alla complessità delle organizzazioni sanitarie e all’opportunità derivante dagli investimenti relativi al Pnrr. Competenze che possono essere acquisite dall’esterno ma che devono diventare parte integrante del bagaglio di coloro chi riveste ruoli dirigenziali e gestionali. 

Due aree di competenze, digitali e di capacity building, due sfide importanti in un contesto in cui il livello di anzianità è alto sia fra i professionisti (nel 2018 oltre il 55% dei medici aveva più di 55 anni) che fra i ruoli gestionali-direzionali (l’età media dei direttori generali delle aziende sanitarie è quasi 60 anni, mentre l’età media dei direttori di dipartimento supera i 63 anni). Sfide che richiedono non solo un aggiornamento dei temi da trattare nei corsi di formazione periodici ma anche un vero ripensamento dei modelli formativi universitari, di specializzazione e di alta formazione.

Ruoli nuovi... da reinventare
In verità il processo di digitalizzazione dei servizi sanitari dovrebbe portare ad un ripensamento non solo delle competenze e della formazione ma anche più propriamente dei modelli organizzativi e dei ruoli. Come è stato riportato da un gruppo di accademici la digitalizzazione dei servizi richiede investimento in riprogettazione dei modelli erogativi, dei processi produttivi e di interventi volti a sostenere il cambiamento della combinazione delle competenze e dei ruoli. È il caso della telemedicina, della televisita, teleconsulto eccetera. che potrebbero aiutare a ridurre la variabilità dei consumi medi per pazienti, a pari stadio di patologia, grazie ad appuntamenti programmati con logiche proattive di medicina di iniziativa, generando quindi equità nei consumi e minimizzando il rischio di prescrizioni eccessive da un lato e di mancanza di trattamento dall’altro. La trasformazione digitale non è solo mera dematerializzazione del servizio ma deve tradursi in una riprogettazione del servizio, più dipendente dall’applicazione del digitale e quindi più efficace ed esaustivo per il paziente.

Da qui l’introduzione di nuove competenze e ruoli ibridi tra l’ambito clinico e quello gestionale –informatico. Figure abili nel ridisegno flessibile e permanente di organizzazioni capaci di fruire delle informazioni tradotte in sistemi di allerta o raccomandazioni che aiutano pazienti e professionisti a ricordare eventi programmati ed evitare errori.

Colmare il gap delle competenze digitali, abbozzare e introdurre nuove figure professionali
Nuovi ruoli o il riconoscimento di alcuni compiti a figure esistenti come nel caso della funzione prescrittiva di alcuni farmaci che potrebbe essere riconosciuta agli infermieri, come avviene in altri paesi europei. Dall’altro lato va ripensato cosa e come valorizzare, in un contesto non pandemico, le competenze specifiche acquisite da figure, come nel caso citato del contact tracer, nate per rafforzare attività che da residuali divengono rilevanti e ricorrenti durante le fasi di emergenza.

Potrebbero diventare rilevanti, anche nel nostro paese, figure sorte nei paesi di lingua inglese che effettuano vere e proprie ‘prescrizioni sociali’ per stimolare le persone a superare la barriera della solitudine aiutandoli a identificare e sfruttare le opportunità di socializzazione e attività civiche e sportive a volte disperse nei territori e nei tanti enti e associazioni del terzo settore. 

Altri ruoli che si intravedono nella gamma di nuove figure i facilitatori delle tecnologie, figure in grado di risolvere problemi di accesso ai servizi digitali o all’utilizzo di alcuni dispositivi, non necessariamente sanitarie ma che riescono a conciliare competenze relazionali e competenze tecniche che servono ad attivare e utilizzare i servizi digitali.

Milena Vainieri, scuola superiore S. Anna - Pisa