Il contratto di espansione è una misura introdotta nel sistema previdenziale italiano per permettere ai lavoratori vicini alla pensione di lasciare il lavoro anticipatamente. Si tratta di uno degli strumenti che viene utilizzato per affrontare le crisi industriali, soprattutto alla luce dei pesanti effetti della pandemia. È stato pensato anche per favorire uno scambio generazionale con l’ingresso di lavoratori giovani.

È però uno strumento da usare con criterio da parte del lavoratore “in uscita” , come dimostra l’ultima analisi dell’Osservatorio previdenza della Fondazione Di Vittorio e della Cgil.

IL TESTO COMPLETO DELL’ANALISI CGIL 

Secondo lo studio (se ne è parlato anche su Repubblica domenica 30 maggio in un pezzo di Valentina Conte) chi accede al contratto di espansione - modificato nella versione finale del decreto Sostegni, con l’abbassamento della soglia del numero degli addetti a 100 -  rischia una forte penalizzazione nei casi di scivolo per pensione di vecchiaia.

Il caso dei 62 anni e 35 di contributi
Dall’analisi che abbiamo svolto, spiega Ezio Cigna responsabile delle politiche previdenziali della Cgil nazionale, si evince che, per un soggetto che ha un reddito di 35.000 euro con 62 anni di età e 35 di contributi, lo scivolo determinerebbe una perdita di 122.566 euro lordi calcolati sull’attesa di vita media. Questo importo tiene conto della differenza tra assegno mensile in contratto di espansione e stipendio (1.786 euro di assegno mensile lordo, contro i 2.692 euro dello stipendio) proiettati nel quinquennio di scivolo (58.890 euro lordi, 35.815 euro netti), della mancata maturazione del Tfr in questi 5 anni (12.092 euro lordi, 8.949 euro netti), ma, soprattutto, del mancato versamento dei contributi previdenziali nel periodo di accompagnamento alla pensione (nel quinquennio pari a 57.745 euro), che porta inevitabilmente una differenza del trattamento pensionistico del 12% in meno per tutta la durata della pensione (1.951 euro lordi in caso di scivolo, 2.199 euro in caso di proseguimento dell’attività lavorativa).

La pensione anticipata
Nel caso di pensionamento anticipato - aggiunge Cigna – per un soggetto che ha sempre 35.000 euro di reddito, ma 61 anni di età e 37 anni e 10 mesi di contribuzione, la differenza è minore, 42.619 euro lordi (l’assegno mensile in contratto di espansione 1.786 euro lordi contro lo stipendio di euro 2.692, che sul quinquennio arriva a 58.890 euro lordi e 35.815 euro netti, a cui si aggiunge la mancata percezione del Tft) visto che per questa uscita è previsto il versamento della contribuzione correlata per i periodi di scivolo.

Le proposte della Cgil
La Cgil, anche durante il confronto sull’ultima legge di Bilancio, aveva sostenuto la necessità del potenziamento di strumenti come il contratto di espansione, suggerendo alcune modifiche, oltre a quella dell’abbassamento del numero degli addetti per le imprese e a quella di garantire almeno per il periodo di teorico diritto alla Naspi la copertura contributiva, nel caso di pensionamento di vecchiaia. 

Bisogna quindi tenere conto contemporaneamente di più elementi. “Anche in considerazione della crisi pandemica che mette a rischio migliaia di imprese e milioni di posti di lavoro – spiega ancora Cigna - questo strumento rischia di non essere assolutamente sufficiente. Nel 2021 saranno infatti 10.500 saranno le persone che nel 2021 potranno accedervi, di fatto solo il 2% delle uscite per pensione di ogni anno".

Per questo, aggiunge il sindacalista, "sono necessari sempre di più strumenti efficaci per favorire il passaggio dal lavoro alla pensione  che potranno risultare utili in questa fase di sblocco dei licenziamenti - che continuiamo a ritenere una scelta sbagliata - e favorire il turn-over generazionale".

Il tavolo fantasma
Si passa quindi dal livello dell’analisi tecnica al livello più propriamente politico. Ma da questo punto di vista, per ora, novità non ce ne sono. Sollecitato in più occasioni dai sindacati, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, non ha ancora convocato le parti sociali per un confronto e anche misure di questo tipo, che comunque rimangono parziali per le platee coinvolte, rischiano di essere penalizzanti per alcuni lavoratori, in particolare donne, che ricorrono maggiormente alla pensione di vecchiaia, non riuscendo a perfezionare prima il requisito della pensione anticipata.