L’orizzonte della ArcelorMittal non è certo sereno. I nodi da sciogliere sono ancora molti, a partire dall’immunità penale sul piano ambientale, eliminata dal governo e rivendicata dal colosso industriale come condizione essenziale per continuare gli investimenti a Taranto, e dal prosieguo delle relazioni tra multinazionale e sindacati. Relazioni che si sono fortemente incrinate con lo strappo, seguito dallo sciopero di giovedì 4 luglio, sulle 13 settimane di cassa integrazione per 1.395 dipendenti dell’impianto pugliese (1.011 operai, 106 intermedi e 278 impiegati), con l'azienda che non ha accolto la richiesta sindacale di soprassedere temporaneamente sugli ammortizzatori sociali in attesa di vedere l'esito degli incontri convocati dal ministero dello Sviluppo economico. Il primo, riservato a governo e ArcelorMittal, si è tenuto giovedì 4, mentre il secondo è in programma per oggi (martedì 9 luglio), con la partecipazione anche dei sindacati e dei commissari.

“È il momento della responsabilità, sia dell'azienda sia del governo, perché non possiamo permetterci di rimanere senza un'azienda siderurgica”, ha commentato il segretario generale della Cgil Maurizio Landini: “I lavoratori vogliono che gli accordi fatti siano rispettati, che gli investimenti vengano realizzati, che l'azienda venga messa a norma, che si utilizzino le migliori tecnologie e che in questo modo si garantisca anche l'occupazione”. L’esponente sindacale è anche intervenuto sulla questione dell’immunità. “Credo che sia importante legare la vicenda dell’immunità agli investimenti”, ha spiegato: “Troverei singolare che qualcuno chieda a chi è appena arrivato di assumersi le responsabilità per quello che non ha fatto. È importante però che quest’immunità non sia ‘sine die’, ma legata al piano di investimenti. Parliamo di 4 miliardi da qui al 2023, ed è stato uno dei punti di forza dell’accordo che anche noi abbiamo sottoscritto”.

L’immunità penale è stata al centro dell’incontro tra ArcelorMIttal e il ministro Di Maio di giovedì 4 luglio. L’immunità penale per commissari Ilva e futuri acquirenti dell'acciaieria è stata istituita con una legge del 2015, ma abolita nei giorni scorsi in seguito all'approvazione del cosiddetto “decreto crescita”. Alla fine del vertice nessuno dei convenuti ha voluto commentare l'andamento dell'incontro, ma si è registrata la volontà comune di trovare una soluzione. Anche perché, come noto, i vertici europei della multinazionale hanno già fatto sapere che in assenza della misura lascerebbero Taranto all'inizio di settembre. L'idea che si sta facendo strada è quella di una norma correttiva-interpretativa dell'articolo 46 del decreto. Una soluzione non facile sia da un punto di vista giuridico (la legge del 2015 non può essere ripristinata essendo in arrivo a ottobre il giudizio della Consulta cui si è rivolto per incostituzionalità il gip di Taranto) sia da un punto di vista politico, considerando che i Cinque stelle ne hanno fatto una “bandiera politica”, al contrario della Lega che invece non intende ostacolare gli investimenti promessi.

“A nessuno sfuggono i comprensibili elementi di riservatezza. Tutto ciò non può, però, legittimare un atteggiamento che sostanzialmente consegna una vicenda di straordinaria rilevanza pubblica e sociale al silenzio dei protagonisti dell'incontro”. Questo il commento della segretaria generale della Fiom Cgil Francesca Re David all'incontro “riservato” del 4 luglio scorso: “Il destino dell'ex Ilva non è una questione privata”. Riguardo al summit di oggi, l’esponente sindacale si aspetta “di affrontare i nodi veri e irrisolti riguardanti il piano industriale, il risanamento ambientale e l'occupazione, alla luce delle vicende di queste settimane, a partire dal ricorso alla cassa integrazione e dalla normativa contenuta nel decreto”.

Al centro dell’incontro odierno, oltre appunto all'immunità penale, ci sono l’intera questione occupazionale e il monitoraggio di quanto realizzato finora. A essere messa sotto esame sarà l'applicazione dell'accordo del 6 settembre 2018 che ha ufficializzato l'arrivo della multinazionale con 10.700 assunzioni complessive, con il conseguente programma di investimenti. Certamente al rapporto tra management e sindacati non ha fatto bene l’apertura della cassa integrazione. L’altissima adesione allo sciopero (pari al 75 per cento del personale di Taranto) ha dimostrato quanto i lavoratori, hanno spiegato Fiom, Fim, Uilm e Ugl territoriali, non siano disposti ad accettare “l’arroganza di ArcelorMittal”, cui chiedono “di rivedere necessariamente il proprio atteggiamento, tipico di una multinazionale”.

ArcelorMittal è il primo produttore mondiale di acciaio, anche se nel 2018 la produzione è calata dello 0,6 per cento, passando da 93,1 a 92,5 milioni di tonnellate. I dipendenti sono poco più di 200 mila, di cui 10.800 in Italia. Nel nostro Paese ArcelorMittal ha otto siti produttivi, tra cui il siderurgico di Taranto, il più grande d'Europa. Nel 2018 i ricavi delle vendite sono aumentati del 10,6 per cento, passando a 76 miliardi di dollari (rispetto ai 68,7 dell'anno precedente), incremento dovuto all'aumento dei prezzi medi di vendita che ha significativamente compensato la diminuzione dei volumi di vendita. Il risultato della gestione industriale (Ebitda) è passato da 8,4 a 10,3 miliardi di dollari, con un aumento del 22,1. Infine, l'utile netto ha raggiunto i 5,1 miliardi di dollari rispetto ai 4,6 del 2017, con un incremento del 12,7.