Ires Veneto ho elaborato i dati sull’occupazione femminile in Veneto, analizzando i numeri forniti da Istat, Veneto lavoro e Inps. Il quadro che emerge, in estrema sintesi, è che le donne lavorano di più rispetto al 2019, ma il loro è un lavoro povero, retribuito meno degli uomini a parità di mansione, precario e part-time.

“Siamo ancora ben lontani dalla parità di genere e questo è evidente a partire dalle retribuzioni – dichiara Tiziana Basso, segretaria generale della Cgil Veneto – dal punto di vista salariale, la differenza tra lavoratrici e lavoratori qualificati come impiegati è del 23%, per gli operai del 19%, dirigenti del 16% e quadri del 14%. Andando nello specifico, un’impiegata donna guadagna circa 9000 euro lorde in meno all’anno di un suo collega uomo. Le donne venete sono quindi povere come lavoratrici e, in futuro, più povere anche come pensionate perché questo gap salariale avrà gravi ripercussioni anche dal punto di vista previdenziale”.

Per quanto riguarda i contratti di lavoro, dal 2019 al 2022 la differenza tra il tasso di occupazione maschile e il tasso di occupazione femminile si è ridotta in Veneto passando da 17,0 punti a 15,9 punti, mentre in Italia è aumentata da 17,8 punti a 18,1 punti. Ma le assunzioni di uomini con orario full time sono ben più numerose di quelle delle donne mentre i part time femminili sono maggiori di quelli maschili: nel 2022, tra le assunzioni femminili con contratto a tempo indeterminato, il 41% sono part time, mentre tra quelle maschili solo il 15%. E non si tratta di scelta, ma per maggior parte di un’imposizione da parte dei datori di lavoro.

“È evidente che le azioni messe recentemente in campo per promuovere la parità di genere, come ad esempio le certificazioni di genere, sono utili ma non sufficienti – conclude Tiziana Basso – innanzitutto serve un cambiamento culturale e la comprensione che il contributo delle donne con un lavoro qualificato all’economia può cambiare la situazione, anche a livello di Pil. Sarebbe utile poi il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, dato che ad oggi la certificazione avviene solo nel rapporto tra impresa ed ente certificatore. Infine, è indispensabile attuare una contrattazione che punti ad eliminare le occasioni di disparità di contratto e di retribuzione, e che i sindacati partecipino ai percorsi di valorizzazione del lavoro femminile, con l’obiettivo di ampliare e replicare le buone prassi già in essere. Per cambiare questa grave situazione di disparità serve un impegno non solo da parte delle istituzioni ma anche dei datori di lavoro”.