Un adesivo con una spunta verde, da mettere sulla tuta da lavoro sopra il logo aziendale. Questo il simbolo della protesta, in risposta alla spunta rossa con cui la Whirlpool, nelle slide presentate venerdì 31 maggio ai sindacati, cancellava l’impianto di Napoli dal perimetro aziendale. La multinazionale ha deciso di vendere lo stabilimento, attivo da più di 60 anni, gettando nell’ansia i suoi 430 dipendenti. Immediata la protesta di lavoratori e sindacati, con scioperi, assemblee e presidio permanente. Una vertenza molto difficile, che oggi (martedì 4 giugno) è approdata a Roma: è infatti iniziato alle 15.30 il vertice al ministero dello Sviluppo economico, è presente anche il titolare del dicastero Luigi Di Maio. Per l'occasione è previsto anche un presidio dei lavoratori e delle loro famiglie, con la presenza di centinaia di persone.

Ed è al governo che tutti guardano, in particolare al ministro Di Maio, che appena sette mesi fa (precisamente il 30 ottobre) pubblicava un post su Twitter esultando all’accordo raggiunto con la Whirlpool. Accordo che evidentemente per il gigante mondiale delle lavatrici è valido solo in parte, visto che (sempre nell’incontro del 31 maggio) ha confermato i 250 milioni di euro di investimento (di cui 80 già impegnati nei primi quattro mesi di quest’anno) contenuti nel piano industriale 2019-2021, ma ha appunto annunciato di “procedere con la riconversione del sito di Napoli Est e la cessione del ramo d'azienda a una società terza in grado di garantire la continuità industriale allo stabilimento e i massimi livelli occupazionali”.

“Credo sia una cosa gravissima, anche perché meno di un anno fa è stato fatto un accordo al ministero dello Sviluppo economico che prevedeva investimenti e il mantenimento di tutto siti produttivi. È una scelta inaccettabile”, questo il commento del segretario generale della Cgil Maurizio Landini. Da segnalare, infatti, è che il piano industriale prevedeva per il sito di Napoli investimenti per 17 milioni di euro e la produzione di lavatrici di alta gamma entro la metà del 2020. “Serve una risposta immediata, Napoli e il Mezzogiorno hanno già pagato abbastanza”, aggiunge Landini, precisando quanto sia mai “necessario che il governo intervenga per far cambiare idea alla multinazionale e far rispettare gli accordi”.

La segretaria generale della Fiom Cgil Francesca Re David evidenzia quanto siano intollerabili questi “licenziamenti per delocalizzazione, dal momento che, tra l'altro, l'azienda usufruisce di tutto il sostegno possibile, attraverso gli ammortizzatori sociali, per la riorganizzazione dopo l’acquisizione di Indesit. Ora basta”. L’esponente sindacale ritiene dunque “inaccettabile che gli impegni presi vengano disattesi in questo modo, a ogni cambio di management. È necessaria una presa di posizione del governo, co-attore dell'accordo quadro, che oggi viene messo in discussione dall'azienda”.

Il segretario generale della Cgil di Napoli Walter Schiavella, in una lettera pubblicata lunedì 3 maggio sull’edizione campana del quotidiano La Repubblica, evidenzia che “la decisione della Whirlpool di lasciare Napoli è irresponsabile e sbagliata: non solo si disattendono impegni precisi, ma si afferma chiaramente un disegno di abbandonare Napoli e il Sud a un destino di deindustrializzazione”. Per Schiavella “il futuro di Napoli non può essere neanche immaginato senza salvaguardare il suo apparato produttivo. Oggi invece assistiamo all’ennesima scelta di un’azienda che si sente libera di abbandonare al loro destino non solo i lavoratori ma un’intera comunità, sulla base di sue esclusive convenienze, incurante e sprezzante dei costi sociali che quelle stesse comunità hanno sostenuto”. Ma il futuro di Napoli è il futuro del Mezzogiorno, spiega il segretario Cgil, e quindi “questa vicenda chiama in causa il governo: non solo perché è stato garante del piano industriale di quella multinazionale, che prevedeva non la chiusura del sito di Napoli ma addirittura nuovi investimenti su di esso, ma anche e soprattutto perché se passasse la decisione della Whirlpool di chiudere o vendere il sito di Napoli, sarebbe la campana a morto della sua credibilità e la prova evidente dell’assenza di politiche industriali per la crescita del Mezzogiorno”.

Il segretario generale della Cgil Campania Nicola Ricci e il segretario generale della Fiom Cgil Campania Massimiliano Guglielmi sottolineano che sono a rischio “non solo i 420 dipendenti dello stabilimento di via Argine, ma l’intero indotto che in Campania, in provincia di Avellino, lavora in esclusiva, facendo triplicare il numero di chi resterà senza lavoro né reddito”. Tutto questo dopo che “sette mesi fa l’azienda aveva varato un nuovo piano industriale che prevedeva investimenti fino al 2021 e l’aumento delle ore di lavoro negli stabilimenti di Napoli e Carinaro, dove centinaia di dipendenti ancora non hanno trovato la piena saturazione, contrariamente a quanto previsto dagli accordi del 2015 e che ancora aspettano le ulteriori e nuove reindustrializzazioni previste dalle diverse intese per poter ritornare a produrre. Ora tutto cambia di nuovo, con l’azienda che lascia la nostra regione per andare a investire 70 milioni di euro al Nord”.

Tornando all'annuncio della vendita, va segnalato che i sindacati di categoria si erano già detti “fortemente preoccupati” per la tenuta dell'intesa siglata l'anno scorso. L’accordo quadro Whirlpool del 25 ottobre 2018 prevedeva verifiche sull’applicazione in sede territoriale e nazionale. “A oggi, a livello nazionale e in diversi territori non riceviamo risposte alle nostre richieste di confronto”, così denunciavano Fiom, Fim e Uilm in un comunicato congiunto di metà maggio: “I mancati investimenti in strategie commerciali e la perdita di quote di mercato stanno determinando forti cali di volumi, con conseguenti problemi nell’utilizzo degli ammortizzatori sociali e forti disagi sui lavoratori. Le reindustrializzazioni previste registrano ancora forti ritardi, con pesanti ricadute sui dipendenti; la gestione del piano sociale subisce continui blocchi e ritardi da parte aziendale; sui carichi di lavoro e le relative saturazioni, l’azienda non si confronta con le Rsu procedendo con continue forzature”. E insistevano particolarmente sulla tenuta dello stabilimento di Napoli, dove la mancata applicazione dell’accordo e il rifiuto da parte aziendale a un confronto territoriale “ci inducono a temere per il peggio”.

(aggiornamento ore 15.47)