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Arrivano nuovi tagli ai fondi destinati alla pensione anticipata dei lavoratori precoci e degli addetti alle lavorazioni usuranti, con effetti che si concentreranno soprattutto a partire dal 2033. Lo prevede l’emendamento del Governo al Ddl Bilancio. Per i lavoratori precoci, la riduzione delle risorse è articolata su più anni: 20 milioni di euro nel 2027, 60 milioni nel 2028, 90 milioni annui dal 2029 al 2032, fino ad arrivare a 140 milioni nel 2033 e 190 milioni dal 2034. Un intervento che riduce progressivamente le risorse disponibili per garantire l’accesso anticipato alla pensione a chi ha iniziato a lavorare molto giovane.
Ai tagli sui precoci si aggiungeranno quelli sulle pensioni per i lavori usuranti. L’emendamento introduce infatti una riduzione strutturale di 40 milioni di euro annui a decorrere dal 2033 sul fondo dedicato, con un decremento diretto degli importi destinati a copertura del pensionamento anticipato per chi svolge attività particolarmente faticose e pesanti. Per la Cgil questa scelta è inaccettabile. “Il governo decide di fare cassa sulla pelle di chi lavora da più anni e nelle condizioni più dure, ignorando che si tratta spesso di attività logoranti, rischiose e fisicamente usuranti, svolte in settori in cui il prezzo pagato in termini di salute e sicurezza è altissimo. Tagliare le tutele previdenziali a questi lavoratori significa negare il legame diretto tra lavoro gravoso, aspettativa di vita e sicurezza, mentre il Paese continua a contare inermi le morti sul lavoro, una vera emergenza nazionale”, è il primo commento che giunge da Corso Italia. “Colpire precoci e usuranti non è una scelta tecnica, ma una precisa responsabilità politica: si chiede a chi ha già dato di più di lavorare più a lungo, anche quando le condizioni di lavoro mettono a rischio la salute e la vita”.
Un quadro di confusione e incertezza
“Ci troviamo davanti a una situazione semplicemente assurda. Un governo miope e irresponsabile sta decidendo, in queste ore, del futuro e della vita di milioni di lavoratrici e lavoratori, dopo aver collezionato promesse mai mantenute sul fronte delle pensioni”. Così Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil, dopo aver appreso alcuni contenuti di alcuni emendamenti alla legge di bilancio sulle pensioni. Qui il riferimento è a un altro intervento last minute, cioè l’abrogazione del comma 7-bis dell’articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, introdotto solo di recente con la legge di bilancio 2025. Quella norma consentiva, ai fini del raggiungimento degli importi soglia necessari per l’accesso alla pensione contributiva, di sommare all’assegno pubblico anche il valore teorico della rendita derivante dalla previdenza complementare. Una possibilità pensata soprattutto per i lavoratori più giovani, interamente nel sistema contributivo, e per chi ha carriere discontinue e redditi medio-bassi.
A spiegare a Collettiva nel dettaglio cosa sta accadendo è Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali per la Cgil nazionale. “Dopo anni in cui si è sostenuta la necessità di valorizzare insieme previdenza pubblica e previdenza complementare – osserva – si assiste ora a un repentino cambio di direzione. Con un semplice emendamento, l’impianto viene riscritto da un giorno all’altro, cancellando quanto introdotto in precedenza e restituendo un quadro normativo confuso e instabile”. L’abrogazione elimina infatti la possibilità di utilizzare la previdenza complementare per raggiungere le soglie previste sia per la pensione di vecchiaia contributiva a 67 anni, sia per la pensione anticipata contributiva a 64 anni, rendendo l’accesso ancora più difficile per ampie fasce di lavoratori.
La solita logica dei tagli
La relazione tecnica allegata all’emendamento conferma che dalla misura deriveranno risparmi di spesa pensionistica crescenti nel tempo. “La logica è una sola: tagliare risorse”, sottolinea Cigna, che denuncia una scelta assunta senza alcun confronto reale con le parti sociali. “Riteniamo particolarmente grave che decisioni di questa portata, che incidono direttamente sulle prospettive di vita e di reddito futuro di milioni di persone, vengano adottate in modo unilaterale e attraverso emendamenti dell’ultima ora”.
Cosa chiede la Cgil
Per il sindacato questa instabilità normativa mina la fiducia delle lavoratrici e dei lavoratori e rende sempre più difficile costruire percorsi previdenziali consapevoli e affidabili, proprio in una fase storica in cui sarebbe invece necessario rafforzare certezze e tutele. Conclude Ghiglione: “È un paradosso inaccettabile: mentre il Paese avrebbe bisogno di affrontare seriamente i nodi centrali della sanità pubblica, del lavoro povero, dell’aumento dei salari e di una vera politica industriale, assistiamo invece a scelte confuse e scollegate dalla realtà. Quello che sta accadendo non è solo un errore politico, ma una follia che richiederebbe almeno un atto di responsabilità da parte di chi governa”.
Tfr e adesione automatica ai fondi, altre modifiche in arrivo
Con l’articolo 45-bis della legge di bilancio il Governo interviene anche su Tfr e previdenza complementare. Il comma 1 estende progressivamente l’obbligo di versamento del Tfr al Fondo di Tesoreria Inps, ampliando la platea dei datori di lavoro interessati. “Il tfr è ‘salario’ differito delle lavoratrici e dei lavoratori”, sottolinea Cigna: “vengono effettuate scelte senza una riflessione complessiva sui salari, sul ruolo del Tfr nel sistema di protezione sociale e sugli effetti per le imprese, soprattutto medio-piccole”. Il comma 2, infine, introduce l’adesione automatica alla previdenza complementare per i lavoratori di prima assunzione dal 1° luglio 2026, con un termine di soli 60 giorni per esercitare una scelta consapevole. “Un tempo insufficiente – osserva Cigna – per chi entra per la prima volta nel mercato del lavoro e non dispone degli strumenti necessari per valutare decisioni previdenziali complesse”. Nel complesso, conclude l’esponente della Cgil, si conferma un’impostazione che non affronta i nodi strutturali dell’adeguatezza delle pensioni e della tutela delle nuove generazioni: “La previdenza complementare può essere integrativa, ma il nodo centrale resta il rafforzamento del primo pilastro pubblico e il rilancio di una pensione contributiva di garanzia”.
























