PHOTO
La strage di Bologna del 2 agosto 1980 rappresenta una delle pagine più dolorose e oscure della storia italiana del dopoguerra. Alle ore 10.25 di quel sabato mattina un ordigno esplode nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione ferroviaria del capoluogo emiliano causando un’ecatombe: 85 morti e oltre 200 feriti. Un attentato avvenuto nel pieno della stagione turistica e nel cuore dell’Italia che sconvolge l’intera nazione, lasciando una ferita profonda nella coscienza collettiva.
Lo scoppio, violentissimo, provoca il crollo delle strutture sovrastanti le sale d’aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell’azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina, investendo anche un treno in sosta al primo binario. È il più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra. Una strage.
La più piccola tra le vittime è Angela Fresu, aveva tre anni e veniva da Montespertoli, sulle colline attorno a Firenze. Il più anziano è Antonio Montanari, aveva 86 anni e aspettava l’autobus sul marciapiedi davanti alla stazione. Uomini, donne, bambini, anziani, provenienti da 50 diverse città. I morti stranieri saranno nove, 19 gli studenti, cinque gli insegnanti, 14 gli operai, 12 gli impiegati, sette i pensionati, undici le casalinghe. Trentatré vittime hanno un’età compresa fra i 18 e i 30 anni, sette fra i tre e i 14 anni.
Angela ha tre anni. È in stazione con la mamma e due sue amiche perché sta andando in vacanza sul lago di Garda. Antonella di anni ne ha 19 e ha appena finito gli esami di maturità. Cesare ha 14 anni e sta leggendo un fumetto, Carlo ha deciso solo all’ultimo momento di prendere il treno per un guasto alla macchina, Eleonora aspetta con la sua mamma l’arrivo di una zia. Paolo ha appena ottenuto un impiego alla sede di Ozzano del Credito romagnolo, ma in filiale non si presenterà mai. Così come non torneranno mai a casa Verdiana, Loredana, Angelica, Giuseppe, Davide, Vito. Una strage spaventosa, per usare le parole dell’Unità del giorno successivo.
Bologna reagisce con prontezza e orgoglio, trasformandosi in una gigantesca macchina di assistenza per le vittime e per i familiari. Simbolo della commossa partecipazione l’autobus 37, pronto soccorso improvvisato, poi diventato carro funebre usato per trasportare i morti dalla stazione all’obitorio.
“La sera del 2 agosto - riporta la storica Cinzia Venturoli - si ritrovano in piazza Maggiore circa 30 mila bolognesi e a queste prime azioni, quasi spontanee, si aggiungono poi le convocazioni dei sindacati che indicono unitariamente per lunedì 4 agosto quattro ore di sciopero generale ‘per riunire tutte le forze della democrazia in un patto di solidarietà che sappia rinnovare l'immensa forza che realizzò la Resistenza e la Costituzione’”.
Il 6 agosto, giorno dei funerali, la città onora le sue vittime con una grande manifestazione in piazza Maggiore cui partecipano circa 100 mila persone (non tutti i parenti delle vittime però vogliono il funerale di Stato e sono solo sette le bare presenti nella chiesa di San Petronio).
Giungono a Bologna treni speciali, pullman, auto da tutta l’Italia. Fra questi la delegazione dell’Italsider di Genova con lo striscione che ricorda Guido Rossa. “Siamo sempre andati ovunque ve ne fosse stato bisogno. Siamo vecchi, ma a Bologna c’è bisogno anche di noi”, dice un partigiano. “Perché andiamo a Bologna?”, afferma un ragazzo: “Ci vado perché ho tanta rabbia dentro, è importante avercela perché ti serve a non rinchiuderti in un guscio e a non credere che tanto non serve a nulla”.
Le indagini si avviano subito, ma fin dalle prime ore sono caratterizzate da depistaggi e tentativi di occultamento della verità. Inizialmente si parlerà di un incidente, di un’esplosione accidentale o di un guasto. Tuttavia, la violenza dell’esplosione e la natura della deflagrazione, presto ricondotta a una bomba ad alto potenziale, metteranno subito in chiaro la natura terroristica dell’evento. La pista neofascista emerge quasi subito, ma sarà osteggiata e confusa da diverse teorie alternative.
Le prime condanne definitive arriveranno solo molti anni dopo, con sentenze che riconosceranno la responsabilità di esponenti dei Nar come Valerio Fioravanti e Francesca Mambro quali esecutori materiali dell’attentato (la sentenza della Cassazione del 1995 confermerà le condanne per Fioravanti e Mambro, riconoscendoli colpevoli di strage. Tuttavia, la ricerca dei mandanti e dei depistatori proseguirà per decenni, evidenziando una fitta rete di coperture e connivenze tra apparati dello Stato, servizi segreti deviati e ambienti della criminalità organizzata).
Nel corso degli anni, nuove piste si sono aperte e chiuse (nel 2007 è arrivata la condanna definitiva di Luigi Ciavardini, altro esponente dei Nar). Le indagini hanno rivelato il coinvolgimento di Licio Gelli, capo della loggia massonica P2, e di altri esponenti legati ai servizi segreti, accusati di aver orchestrato depistaggi e ostacolato la giustizia.
Le sentenze più recenti, come quella che ha condannato l’ex estremista di destra Gilberto Cavallini come partecipante alla strage, e quella del 1° luglio 2025 che ha condannato in via definitiva all’ergastolo Paolo Bellini, ex parà e membro di Avanguardia nazionale, per concorso nella strage, hanno rafforzato l’impianto accusatorio che vede nella matrice neofascista la mano esecutrice dell’attentato, con la copertura e il supporto di apparati occulti.
L’ultima sentenza ha anche reso definitive le condanne per ruoli meno diretti ma comunque significativi: Piergiorgio Segatel, carabiniere condannato a sei anni per frode in processo penale, e Domenico Catracchia, ex amministratore di condominio, quattro anni per false informazioni al pubblico ministero.
La strage di Bologna non è stata solo un atto terroristico, ma un evento che ha scosso le fondamenta della democrazia italiana, evidenziando le fragilità e le collusioni di un sistema che in quegli anni era sotto attacco da diverse forze eversive.
La memoria delle 85 vittime è custodita dall'Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, che da decenni si batte per la verità e la giustizia, mantenendo viva l’attenzione su una ferita che non si è mai rimarginata.
“L’Italia è il Paese dei misteri”, scriveva qualche tempo fa Benedetta Tobagi: “I colpevoli delle stragi non sono mai stati trovati né sono mai stati puniti. Tutto viene insabbiato e non si riesce mai a trovare il bandolo della matassa per chiudere definitivamente la stagione dolorosa delle bombe, la cosiddetta ‘strategia della tensione’, e consegnarla alla storia. Ogni volta sembra di ricominciare da capo: piazza Fontana, piazza della Loggia e stazione di Bologna sono soltanto alcune delle tappe di una laica via crucis che non ha mai fine e su cui ogni anno emergono particolari, false piste, rivelazioni vere o false”.
Benedetta Tobagi così conclude: “Se però sbirciamo oltre il muro delle tante assoluzioni, le cose non stanno proprio così. Ormai le testimonianze e le carte ci permettono di ricostruire con precisione quanto è successo in quella fase storica. Se Pasolini, in un suo articolo molto famoso, scriveva ‘io so, ma non ho le prove’, ora possiamo dire che sappiamo e abbiamo le prove, di molto, se non di tutto, e spesso possiamo pure fare nomi e cognomi di esecutori e mandanti”. Sappiamo e abbiamo le prove.