Negli ultimi dieci anni la spesa per redditi da lavoro dipendente delle amministrazioni pubbliche, in Italia, è cresciuta meno (14%) della metà di quanto spendono in media i Paesi europei (31,8%), sotto a Francia (24,9%), Germania (40,8%), Spagna (36,1%) e Regno Unito (26%).

Non solo: dal 2000 al 2020 i dipendenti pubblici nel nostro Paese sono diminuiti di circa 200 mila unità, portandoci ai livelli più bassi dei Paesi europei per numero di dipendenti in ragione della popolazione e per età media del personale (50 anni). Casualità o strategia?

Per Serena Sorrentino, segretaria generale della Fp Cgil, non è affatto una casualità, ma è in corso una privatizzazione strisciante dei servizi pubblici. Per questo – a dire della dirigente sindacale – occorre un cambio di paradigma e un piano straordinario di assunzioni.

© Simona Caleo/Cgil
© Simona Caleo/Cgil
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L'ultimo rapporto della Svimez rileva che i Comuni, soprattutto quelli meridionali, hanno messo in campo una capacità operativa che ha consentito una considerevole spesa dei fondi del Pnrr.

Questa è la dimostrazione che, quando si investe nelle risorse umane negli enti locali e non solo, le cose funzionano meglio. In realtà c’è stata una mobilitazione di tutta la capacità amministrativa degli enti locali che ha consentito di non perdere gran parte delle risorse a disposizione. Questo vuol dire che investire sulla motivazione, sulla programmazione e soprattutto su una visione per obiettivi, sul ruolo delle pubbliche amministrazioni, può fare la differenza.

I nostri servizi pubblici sono stati bistrattati, lo si vede anche nella fatica che state facendo per i rinnovi dei contratti. Nei giorni scorsi avete chiesto un piano d’azione che prevede investimenti e 1 milione 250 mila assunzioni da qui al 2033. Perché?

In questi anni il parziale sblocco del turn over e le assunzioni straordinarie attivate durante il Covid non hanno compensato le uscite per pensionamenti degli anni precedenti. Paradossalmente l’aumento degli addetti registrato in alcuni comparti come le funzioni centrali e la sanità, non solo non ha compensato il turn over, che comunque sarà intenso anche nei prossimi anni, ma non ha neanche potenziato i servizi pubblici, sempre più attraversati dalle sfide delle transizioni demografica e digitale. Tutto questo non può essere traguardato se non con un piano straordinario di assunzioni.

Dove si registrano le carenze di personale maggiori?

Prima di tutto mancano e mancheranno 510 mila lavoratrici e lavoratori della sanità, di cui 245 mila per compensare il turn over e 265 mila per potenziare i servizi pubblici, soprattutto per riorganizzare la rete dell'assistenza territoriale attraverso le case di comunità. La questione dell’assistenza territoriale è una sfida importante, identificata come una delle pietre miliari delle riforme previste dal Pnrr e che, come abbiamo visto, fa ancora fatica a decollare soprattutto per una carenza strutturale del personale.

Cosa altro si può fare?

Per fortuna alcune delle cose che noi dicevamo da tempo, ad esempio il superamento del numero chiuso nelle facoltà che formano professionisti sanitari, a partire dalla medicina, oggi stanno producendo gli effetti auspicati. È di queste ore la notizia che la cancellazione del test d’ingresso a medicina ha fatto registrare un record di domande d’iscrizione: ciò significa che non è vero che c'è una disaffezione nei confronti dei percorsi che formano professionisti sanitari, ma che le difficoltà nell'accesso erano un ostacolo importante.

Quali sono gli altri comparti che registrano carenza di personale?

Ovviamente nelle funzioni locali: prevediamo servano circa 370 mila assunzioni da qui al 2033, di cui 255 mila per compensare il turn over e 145 mila per potenziare i servizi pubblici, in particolar modo sul fronte dei servizi educativi, dell’assistenza sociale e dei servizi demografici. E poi ovviamente, come sta mettendo in luce anche la gestione del Pnrr, mancano i cosiddetti ‘profili tecnici’ che, visti gli scarsi strumenti di valorizzazione e remunerazione, si fa grande fatica a reclutare. Infine, servono 190 mila assunzioni nelle funzioni centrali e 180 mila nel regime di diritto pubblico e comparto autonomo.

La valorizzazione degli uomini e delle donne dei servizi pubblici passa anche da un contratto che restituisca dignità al lavoro, che non è solo economica, ma anche economica. Questa stagione di rinnovi contrattuali è, forse, tra le più difficili che avete dovuto affrontare.

Abbiamo detto no a un modello che continua a investire sulla leva della svalutazione economica del lavoro pubblico. La scelta del governo di non riconoscere gli incrementi contrattuali in relazione all’inflazione registrata, programma la riduzione del salario non solo per il contratto 2022-2024, ma fino al triennio 2028-2030. Questo significa non rendere competitivo il lavoro pubblico rispetto al privato. Inoltre, le basse retribuzioni, nonché l’aumento dell’orario e dei carichi di lavoro, vista la carenza di personale, svalorizzano il lavoro pubblico. Esattamente il contrario di quello di cui avremmo bisogno in una fase in cui, invece, l'esigenza di potenziare lo stato sociale è manifestata dalla crescita delle disuguaglianze.

La crescita delle disuguaglianze e la diminuzione dei diritti e della loro esigibilità sono il tratto di questi anni. Eppure la nostra Costituzione si fonda su alcuni diritti di cittadinanza. Come far cambiare paradigma?

Prima di tutto serve una diversa politica fiscale che tassi le rendite e, soprattutto, restituisca la progressività fiscale prevista dalla Costituzione. Esattamente il contrario di ciò che ha fatto con l’ultima manovra il Governo: ha aumentato la tassazione e il prelievo sui redditi da lavoro dipendente delle classi medie, depotenziandolo invece sui redditi al di sopra degli 80 mila euro. Per altro, una diversa politica fiscale servirebbe a finanziare lo stato sociale.

E poi?

Il cambio di paradigma si realizza distribuendo la spesa pubblica tra capitoli di bilancio: riteniamo sbagliata l’idea di non negoziare, come ha fatto la Spagna con l'Unione Europea, la quantità di investimenti da destinare alla difesa e, contemporaneamente, assistere al lento progressivo definanziamento del Fondo sanitario nazionale, che significa non garantire il diritto alla salute. Non c'è soltanto un problema di investimenti di spesa nominale rispetto al Pil della spesa sanitaria, che, come sappiamo, decresce nel 2027 fino al 6,2 per cento: esiste anche un problema di non relazione tra quella che è l’entità del fondo di finanziamento sanitario nazionale e la spesa sanitaria effettiva.

Nel 2024 la Fondazione Gimbe certifica che mancano all'appello tra la spesa effettiva e il finanziamento nazionale 10-12 miliardi e nel 2025 saliamo quasi a 14-16 miliardi.

Questo significa, ovviamente, meno servizi e aumento della spesa privata delle famiglie. Sicuramente non è per questa via che riduciamo la disuguaglianza sociale, non è per questa via che garantiamo il diritto alla salute previsto dall'articolo 32 della Costituzione.

Per di più si assiste alla fuga del personale sanitario dagli ospedali e dei dipendenti dalle amministrazioni.

La fuga del personale è direttamente proporzionale alle condizioni di lavoro che incontrano, alla scarsa retribuzione, alla mancanza di prospettive di carriera. E oltre ad andarsene provano a fare i concorsi anche in altre amministrazioni, facendosi così dumping tra loro, secondo magari le condizioni contrattuali o delle piattaforme di welfare che riescono a garantire. Si sta, quindi, generando una competizione anche dentro la pubblica amministrazione tra amministrazioni più ricche e meno ricche, mentre chi ha una professione spendibile anche sul mercato privato lì trova spesso condizioni economiche, e non solo, migliori e molto più adattabili alle esigenze dei professionisti. 

A fronte di tutto questo, sembra che il governo non solo non abbia fatto un investimento – prima di tutto culturale – ma non abbia nessuna intenzione di farlo. Qual è lo stato delle relazioni tra sindacati e governo?

Allo stato attuale non esistono relazioni sindacali tra le organizzazioni che rappresentano le lavoratrici e i lavoratori del settore pubblico e i ministri della Pubblica amministrazione e della Salute. Abbiamo avuto interlocuzioni recenti con la Conferenza delle regioni, con l'Associazione nazionale dei comuni e l'Unione delle province italiane, ma non con l’esecutivo. In realtà il governo, in maniera silenziosa ma coerente, in tutti i provvedimenti che produce sta spostando quote di servizi pubblici sul mercato privato.

Dove si evidenzia questo spostamento?

Lo vediamo con il decreto sulle liste d'attesa, lo vediamo soprattutto con la contrazione dell’investimento nei servizi pubblici, in particolar modo negli enti locali. Lo vediamo nella crescita sempre più ricorrente da parte delle amministrazioni a forme di partenariato pubblico-privato nella gestione dei servizi alla persona, oppure nel ritorno all’esternalizzazione di parti di attività delle amministrazioni centrali che non riescono più a gestire alcuni servizi strategici, dall’informatica al recupero crediti. Siamo di fronte a una pubblica amministrazione che arretra, andando verso l’esternalizzazione e la privatizzazione.

Allora, a fronte del calo degli investimenti e della privatizzazione strisciante, quali sono le iniziative e gli impegni che la Funzione pubblica Cgil prende con i lavoratori e le lavoratrici che rappresenta?

All’indomani della firma separata del contratto della sanità, abbiamo già convocato l'attivo delle delegate e dei delegati eletti Rsu della sanità pubblica, concordando con loro le tappe di una possibile mobilitazione. Il 30 giugno è convocato un attivo unitario, insieme alla Uil della sanità, per avviare un percorso di assemblee nelle aziende per la costruzione di una mobilitazione che ovviamente guarderà alla legge di bilancio, sia sul finanziamento del Fondo sanitario nazionale sia sul capitolo che riguarda la vertenza sul salario e sul rinnovo del contratto. Siamo molto attivi anche nel settore delle funzioni centrali: il 30 giugno e il 1° luglio, insieme ad altre organizzazioni sindacali, promuoveremo una mobilitazione nazionale del sistema della giustizia, dove ci sono 12 mila lavoratori precari, il cui contratto scade il 30 giugno 2026, e il governo ha dichiarato che non ha alcuna intenzione di stabilizzarli. Infine, dopo il tavolo per il rinnovo del contratto delle funzioni locali, decideremo quale percorso di mobilitazione fare visto che, al di là della propaganda, neanche in questo caso il governo ha intenzione di fare passi avanti. Per tutte queste ragioni, avendo come duplice obiettivo da un lato quello di portare avanti la vertenza sui rinnovi dei contratti e sugli adeguamenti salariali all'inflazione, dall'altro quello di un investimento straordinario nei servizi pubblici, la mobilitazione continua.